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Cronaca

La storia dell'astigiano sopravvissuto
all’Heysel e che morì un mese dopo

Trent'anni fa, e precisamente tra fine maggio e fine giugno del 1985, l'astigiano Roberto Oblato si trovò per due volte, ravvicinate fra loro, di fronte al suo destino: sopravvisse alla curva

Trent'anni fa, e precisamente tra fine maggio e fine giugno del 1985, l'astigiano Roberto Oblato si trovò per due volte, ravvicinate fra loro, di fronte al suo destino: sopravvisse alla curva maledetta dell'Heysel (Bruxelles), ma non scampò a un'altra curva, infinitamente più maledetta, a pochi chilometri da Asti.

Biglietto n.3870
La scorsa settimana un mio collega, Marco Raviola, mi ha portato a vedere un cimelio di trent'anni fa: il biglietto n.3870 della finale Juventus-Liverpool della Coupe Clubs Champions Européens, disputata allo Stade du Heysel (Heizelstadion) il 29 maggio 1985. Di colore verdino, ben conservato, sul corpo del ticket si evincono alcune curiosità: il costo: 300 franchi; l'orario partita: 20.15. Sul retro, oltre agli sponsor (Bata, Coca Cola, Canon, Jvc, Camel, Cinzano, Fuji Film, Seiko), è riprodotta la pianta dello stadio: il mio collega si trovava nella curva opposta (posti in piedi N) rispetto a dove avvenne la tragedia (Y e Z). Una frase, però, ha destato la mia attenzione; riletta oggi, col senno di poi, fa venire i brividi. È collocata in bella mostra nella parte bassa e occupa un terzo della facciata principale del biglietto: «L'organisateur décline toute responsabilità du chef d'accident, de quelque nature qu'il soit, qui pourrait se produire au cours ou à l'occasion du match pour lequel ce ticket est délivré» («L'organizzatore declina ogni responsabilità in caso di incidente di qualsiasi natura che potrà verificarsi durante o in occasione del match per il quale viene emesso il biglietto»). Raviola poi, dopo avermi descritto le condizioni precarie dello stadio belga dell'epoca, siè ricordato di un'altra vicenda drammatica legata all'Heysel. Altri astigiani, infatti, erano dentro quel maledetto stadio.

Rientrando dalla festa di San Giovanni
«Mio fratello è morto il 25 giugno 1985. Era andato a Torino con un suo amico per la festa di San Giovanni e rientrando, verso le 2 dopo la mezzanotte, a 500 metri da casa per un colpo di sonno è andato a scontrarsi contro la cappella votiva che si trova di fronte al campo sportivo di Villa San Secondo». A parlare, con la voce rotta dalla commozione, è Valeria Oblato, sorella dell'indimenticato Roberto Oblato. «Pensi che lui nello stadio era proprio dove crollò tutto. Si salvò per miracolo. Il suo amico era andato a chiedere aiuto alla polizia mentre quegli individui (hooligans inglesi. NdR) avanzavano contro di loro. A un certo punto mio fratello decide di raggiungerlo; di fianco a lui c'era una famiglia (papà mamma e figlioletto): il papà non voleva farlo andare, lo aveva quasi trattenuto perché allontanarsi di lì in quel momento voleva dire andare proprio in bocca a quei pazzi; ma lui pensó che ubriachi come erano magari non vedevano la singola persona ma il mucchio di gente lì ammassata e così fece. Ci raccontò che aveva appena fatto qualche metro quando si udì un tremendo boato e crollò tutto».
Un mese dopo soltanto quella tragedia sportiva, dove persero la vita 39 pacifici tifosi juventini (32 italiani), il destino attese, questa volta definitivamente, Roberto Oblato. Aveva appena 21 anni, lavorava nell'azienda agricola di famiglia. I funerali si svolsero a Corsione dove risiedeva e dove abitano ancora adesso sua mamma, la sorella Valeria e due nipoti, Chiara e Michela, che non ebbe il tempo di conoscere.

Stefano Masino

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