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Cronaca
Corte d’Assise

Nizza Monferrato: «Makka uccise per legittima difesa. E’ una vittima e non aveva via d’uscita»

Attesa per la sentenza. I giudici sono in Camera di Consiglio e si attende la decisione per la serata.

Riuniti in Camera di Consiglio, giudici togati e popolari della Corte d’Assise di Alessandria entro stasera usciranno con la sentenza che cambierà la vita di Makka Sulaev, la ragazza che un anno fa ha ucciso con una coltellata il padre Akhyad al culmine di una violentissima lite in famiglia.

Il pm ha chiesto per lei una condanna a 7 anni, facendo un “conto” giuridico che sconta dalla pena edittale prevista per l’omicidio volontario premeditato e aggravato dal rapporto di parentela, le attenuanti che tengono conto, fra le altre cose, della giovane età dell’imputata all’epoca del fatto (da poco 18enne), una vita di violenze domestiche di cui era oggetto insieme alla madre, la condotta processuale impeccabile.

Conclusioni che il difensore di Makka, l’avvocato Massimiliano Sfolcini, vorrebbe ulteriormente abbattere chiedendo, in via prioritaria l’assoluzione della ragazza per legittima difesa.

Per il pm non vi sono i presupposti per addivenire al riconoscimento della legittima difesa, per l’avvocato sì.

«In quel terribile primo marzo del 2024, Makka e la madre sono state oggetto di offese gravissime, ingiuste e di minacce crescenti per tutta la mattinata. Un clima di tensione ampiamente dimostrato dai testimoni e dalle trascrizioni delle telefonate e dei messaggi ricevuti dalla donna e girati alla figlia. Presente anche un pericolo imminente – prosegue – perché la prima coltellata inferta da Makka al padre, quella mortale per intenderci, è stata sferrata quando lui, dopo le minacce, aveva già tentato di strangolare la moglie in cucina e, all’intervento di difesa di Makka, aveva cominciato a picchiarle entrambe, in più locali della casa e a più riprese. La seconda coltellata, con lesioni minori, considerata dal pm sintomo di volontà omicidiaria, in realtà è stata inferta quando Akhyad era ancora in piedi, si aggirava rabbioso per casa ed era ancora in grado di offendere quel gruppo formato da due donne esili, tre ragazzini e una maestra impaurita. Lui, grande grosso, istruttore di lotta e un addestramento militare alle spalle, era ancora particolarmente pericoloso. Tanto che, ricordo, nonostante l’emorragia in corso, ha chiuso la porta di ingresso quando la maestra ha tentato di uscire sul pianerottolo, tenendo tutti ancora in casa».

Non avevano vie di fuga e Makka si era addossata la responsabilità di salvare tutti e di fermare quello che immaginava sarebbe seguito, ovvero una carneficina.

«E non se l’era immaginato. Il padre – ha proseguito l’avvocato – aveva detto a tutti in casa che avrebbe fatto un “concerto” (nella lingua cecena è sinonimo di evento grave) di cui avrebbero parlato tutti i giornali. E sempre Makka, poco prima del suo rientro, aveva ricevuto dalla madre un messaggio in cui la donna le chiedeva di occuparsi dei bambini se a lei fosse successo qualcosa di grave».

Fra i particolari emersi oggi anche il fatto che l’uomo, già colpito dalla prima coltellata si preoccupa di cancellare tutti i messaggi di minaccia e offensivi mandati alla moglie in giornata.

Un passaggio importante è quello che l’avvocato Sfolcini dedica a tratteggiare il ruolo di Makka all’interno della sua famiglia.

Una ragazza cresciuta in fretta, “adultizzata” da una situazione familiare fatta di violenze continue, da quando ha memoria. Lei studia, lavora ogni volta che può per portare soldi a casa, si occupa della casa, dei fratelli più piccoli, interviene a sedare le violente aggressioni del padre nei confronti della madre e fa da interprete e da interlocutore dell’intera famiglia con tutte le varie istituzioni cui è collegata, perché è quella che parla meglio l’italiano.

Quei due fogli scritti a mano da Makka mentre, sempre il primo marzo del 2024 attende il ritorno a casa della madre dal lavoro con tutto il peso della paura al pensiero di quello che sarebbe successo dopo le minacce del padre, sono stati letti dal pm sempre in ottica di premeditazione. «Makka era stufa di quelle continue violenze e quel giorno aveva deciso che vi avrebbe messo fine con l’omicidio del padre». Per il difensore invece  era il testamento emotivo  della ragazza che sentiva la sua vita in pericolo al pari di quella della madre e voleva che rimanesse traccia scritto di quanto vissuto fino a quel momento.

Sul coltello acquistato qualche ora prima dell’omicidio, circostanza usata in chiave di premeditazione per il pm, l’avvocato Sfolcini ha ripetuto quanto detto da Makka in aula: «La tensione era già alta, l’ho acquistato per difendere me e mia madre in caso di aggressione di mio padre. Tant’è che l’ho lasciato nel blister e ho tolto la confezione solo quando lui aveva già stretto le mani intorno al collo di mia madre».

Tanti anche i riferimenti, sia di pm che di avvocato difensore, al processo di Alex Pompa a Torino, altro ragazzo giovanissimo finito a processo per aver ucciso il padre per salvare la madre.

Per Sfolcini, la responsabilità prioritaria di quanto è successo è del padre violento. «Se lui avesse tenuto un comportamento normale, nulla sarebbe accaduto. E’ stata la violenza inaudibile di quel giorno, di un livello più alto di quella vissuta fino ad allora, ad aver innescato la catena di eventi che ha portato all’omicidio».

 

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