Udienza molto pesante quella di oggi, in Corte d’Assise ad Alessandria, per Makka Sulaev, la ragazza di 19 anni che nel marzo scorso ha ucciso il padre nella loro abitazione al culmine di una giornata di litigi e minacce, per difendere la madre.
Due sono stati i momenti distinti che hanno connotato le testimonianze di oggi: quello dei consulenti medico legali e quello dei testimoni che conoscevano da vicino la vita della famiglia Sulaev.
I consulenti delle parti contrapposte erano in accordo sulla causa della morte: la prima coltellata sferrata alla schiena dalla ragazza verso il padre. Copiosa emorragia e lesione al polmone sono state fatali all’uomo che, però, non è morto subito ma dopo qualche minuto. Aveva avuto anche il tempo di togliersi la maglietta prima che la ragazza sferrasse un secondo colpo, sotto l’ascella. Se per il medico legale del pm, il dottor Fabio Innocenzi all’epoca in servizio all’Asl di Asti, anche questa seconda coltellata ha contribuito ad accelerare il decesso, per quello della difesa, il dottor Luison, ciò non si può affermare con certezza. E i due specialisti sono comunque concordi nel dire che la seconda coltellata fosse molto meno grave della prima. Akhyad, il padre, era ancora vivo quando sono intervenuti i carabinieri nell’appartamento. Sofferente ma vivo.
Il coltello usato è quello che la ragazza, Makka, aveva acquistato qualche ora prima quando si era innestata un’escalation di paura e di terrore alimentata dai messaggi su whatsapp, vocali e scritti, che il padre aveva mandato alla madre. Messaggi ripetuti e rabbiosi, con minacce gravissime e l’ordine perentorio alla donna di rientrare appena finito il lavoro perchè dovevano regolare i conti a casa. Un clima teso del quale si erano accorti anche i fratelli più piccoli di Makka uno dei quali, nella sua ingenuità, ha pensato bene di togliere dalla cucina tutti i coltelli più grandi e di avvolgerli in uno strofinaccio che ha nascosto sotto un davanzale che dava sul balcone per paura che il padre li usasse contro la madre.
I dettagli dei medici legali hanno profondamente scosso Makka questa mattina in aula che, pur essendo a conoscenza di ogni dettaglio delle indagini, non ha retto alla descrizione dell’agonia che ha preceduto la totale perdita di conoscenza del padre e poi la morte.
Accanto a lei l’avvocato difensore Massimiliano Sfolcini che ha chiamato a testimoniare chi la famiglia Sulaev la conosceva bene e fin dal loro arrivo in Italia dalla Cecenia: Paola Bottero, la referente del loro progetto di accoglienza all’epoca in servizio alla cooperativa Crescereinsieme.
«Fin da subito è stata chiara la disparità di impegno e di apprendimento all’interno della famiglia – ha detto – da una parte la madre, Makka e gli altri fratelli e sorella che in un anno hanno imparato l’italiano, hanno sempre seguito i corsi di alfabetizzazione e si stavano velocemente integrando. Dall’altra il padre che si rifiutava di venire a scuola, non riusciva a parlare italiano e non riusciva a tenersi i lavori in tirocinio che gli trovavamo».
La referente ha notato anche la forte autorità che l’uomo esercitava sul resto della famiglia e la grande irresponsabilità nei confronti del mantenimento di moglie e figli oltre a non aiutare per nulla in ambito domestico e “logistico”.
«Un esempio emblematico fu il trasferimento da Bistagno a Nizza dove avevamo trovato loro un appartamento bello grande, arredato. Mentre noi, la moglie e Makka ci adoperavamo per spostare pacchi e borse, lui non ha alzato un dito e, entrato in casa, ha pure criticato i mobili».
Il pm le ha chiesto anche se avesse mai notato lividi o altri segni da percosse. «No – la sua risposta – anche perchè, essendo musulmane praticanti, sia la madre che Makka avevano scoperti solo viso e mani».
L’ex referente racconta di Makka come di una ragazza molto intelligente e brillantissima a scuola ma anche molto più adulta della sua età. «Questo anche perchè, essendo quella che parlava meglio italiano in famiglia, veniva usata dal padre come tramite per qualunque questione, anche quelle che una ragazza della sua età, all’epoca ancora minorenne, non avrebbe dovuto trattare».
Fra i testimoni anche la farmacista Barbara Balestrino, madre della titolare del ristorante La Signora in Rosso presso il quale la famiglia Sulaev lavorava (padre e madre lavapiatti e Makka cameriera nei fine settimana).
E’ lei che si è offerta di ospitare Makka all’uscita dalla comunità in cui ha vissuto nelle settimane seguite all’arresto e ha avuto parole tenerissime nei confronti della ragazza: «Aiuta in casa, ha un rapporto bellissimo con madre e fratelli che hanno il permesso di venirla a trovare e con i quali gioca, parla, sorride. Non ho mai avuto il minimo timore di vivere con lei, anzi. E’ così in gamba e mi fido così tanto di lei da lasciarla con i miei nipoti». A chiudere il giro di testimonianze i colleghi del ristorante: chef e camerieri che hanno raccontato come conoscessero Akhyad sia per il breve periodo in cui ha lavorato con loro, sia perchè era spesso piazzato nel cortile dei locali per aspettare la moglie e la figlia.
E qui la dichiarazione spontanea di Makka, per la prima volta davanti alla Corte d’Assise: «Mio padre non era lì per aspettarci all’uscita del lavoro per accompagnarci a casa. Era lì per controllarci. Qualche volta anche di nascosto per vedere come ci comportavamo io e mia madre con i colleghi e se vedeva che sorridevo ai clienti, mentre li servivo, a casa si facevano i conti».
Prossima udienza quella del 23 gennaio quando verrà dato incarico ad un perito di valutare lo stato di capacità di intendere e volere di Makka al momento del gesto. Il consulente del pm l’ha ritenuta pienamente capace, quello della difesa parzialmente incapace. Il presidente della Corte d’Assise Bargero ha deciso di affidare la valutazione ad uno specialista super partes.