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Cronaca
Corte d’Assise di Alessandria

Nizza Monferrato, per i giudici Makka uccise per “inesperienza e disperazione”, non per legittima difesa

In cinquanta pagine le motivazioni che hanno portato i giudici togati e popolari a condannare la ragazza a 9 anni.

Sono arrivate nel pieno delle vacanze estive le motivazioni della Corte d’Assise di Alessandria che a maggio ha condannato Makka Sulaeva a 9 anni di carcere per aver ucciso il padre durante una violenta lite domestica con aggressione dell’uomo nei confronti della moglie e della figlia nell’alloggio in cui vivevano a Nizza Monferrato.
Una sentenza che aveva sorpreso tutti alla sua lettura perchè è stata più severa di quanto chiesto dal pm che aveva quantificato in 7 anni la giusta condanna per la ragazza, appena maggiorenne, che ha ripetutamente giustificato il suo gesto dalla convinzione che se non avesse agito il padre avrebbe ucciso lei e la madre.
Motivo per il quale il difensore di Makka, l’avvocato Sfolcini, aveva sostenuto con tenacia, fino alla fine, la tesi della legittiima difesa o, al più, di eccesso colposo nella legittima difesa.
Nelle oltre 50 pagine di motivazione, la parte da leone, come normalmente accade, la fa la ricostruzione dei fatti di quel tragico 1 marzo 2024 in cui, fin dal mattino, era montata la tensione fatta di minacce pesanti, di incursioni sul posto di lavoro della madre di Makka da parte del marito e di messaggi vocali e scritti in cui l’uomo chiedeva alla donna di rientrare per regolare i conti a casa. E poi quelle ripetute aggressioni nell’alloggio, prima in cucina con l’uomo che strinse le mani al collo della moglie e il primo intervento di “salvataggio” di Makka che ha così attirato anche su di sè (come sempre accaduto anche in passato) la rabbia del padre che, a turno, se l’è presa con lei e la madre fino a quella coltellata mortale all’addome sferrata dalla figlia. Il tutto alla presenza degli altri tre figli minorenni della coppia e di un’amica di famiglia che faceva fare loro ripetizioni scolastiche.
Perchè i giudici togati e popolari non hanno riconosciuto il gesto di Makka come l’unico possibile per evitare che lei e la madre venissero uccise?
«Sebbene l’uomo durante la discussione fosse passato alle vie di fatto – sintetizzando le motivazioni – questa Corte non ritiene vi sia stato un pericolo attuale per la vita della moglie». Questo perchè dopo il primo intervento di Makka che ha staccato le mani del padre dal collo della madre, i due coniugi hanno ripreso a litigare e questo, secondo i giudici, dimostra che l’uomo non fosse realmente intenzionato ad uccidere la moglie.
E l’aggressione a Makka (colpita, gettata a terra, afferrata per i capelli e, a sua volta, salvata dalla madre che si è fatta scudo) non era dettata da volontà omicida del padre ma solo dalla voglia di punirla per essersi permessa di intromettersi nella discussione con la moglie.
E allora come si colloca il comportamento di Makka?
«La ragazza ha deciso, con un’idea che appare il frutto di un misto di inesperienza e di disperazione, di agire in maniera risoluta usando un coltello per eliminare in radice la possibilità che il padre potesse ancora aggredire la madre, uccidendolo».
I giudici ritengono che una alternativa fosse ancora possibile, anche in quei momenti concitati, ed era quella di chiedere soccorso alle forze dell’ordine (cosa peraltro già fatta dall’amica italiana presente nell’alloggio).
A pesare sulla sentenza, anche la seconda coltellata inferta da Makka quando il padre ancora si aggirava per casa ferito dalla prima. «Non per reale pericolo, maper assicurarsi che l’uomo morisse davvero». E poco conta se i periti hanno confermato che non è stata quella letale.
L’avvocato Sfolcini ha già annunciato ricorso in secondo grado per far valere, davanti ai giudici torinesi, la tesi della legittima difesa.
La Corte d’Assise di Alessandria ha escluso la premeditazione e questo è un punto a favore della ragazza che, intanto, è tornata in libertà e vive con la madre e i fratelli.

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