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foto laboratorio AI
Cronaca
Le voci

Parlano i ragazzi dell’insegnante sotto accusa: «Ci sentivamo come in una setta, così ci ha devastati»

«Abbiamo fatto la denuncia principalmente per fermarla e impedire che possa fare del male ad altri».

C’erano tutti ieri in aula e all’uscita dall’udienza, un po’ frastornati dalle scaramucce giudiziarie, non sono riusciti a nascondere la forza con la quale hanno voluto portare la loro ex insegnante di musica e recitazione in tribunale.
«In aula hanno parlato di risarcimenti – hanno detto i ragazzi – Sicuramente ci fanno comodo perchè a seguito di quelle sedute abbiamo dovuto affrontare lunghi periodi di analisi dagli psicologi e psicoterapeuti veri. Ma quello che a noi preme di più è che non possa accadere ad altri quello che abbiamo passato noi».
La storia dei sette ragazzi è quasi sovrapponibile.
«Frequentavamo tutti lo stesso istituto di Asti dove lei insegnava. Era la classica professoressa materna e amicona. Qui tutti noi, chi per un motivo, chi per un altro, stava vivendo un’adolescenza difficile. Lei – proseguono i ragazzi – si informava molto sulle nostre situazioni famigliari ed era stata lei a sceglierci. E’ venuta da ognuno di noi che, ripetiamo, vivevamo momenti di grande fragilità, e ci ha proposto di frequentare i suoi laboratori del Teatro della Crescita, facendoci credere che saremmo stati meglio e che avrebbe curato le nostre sofferenze». E loro hanno accettato e hanno cominciato a seguire i laboratori in orario extrascolastico, a pagamento.
«Gradualmente ma con grande efficacia si è conquistata la fiducia di tutti noi. Ci ha trasformato in un gruppo in cui tutti sapevamo le cose di tutti. Con le sue parole ci ha legati fino a creare una forma di dipendenza da lei. E così abbiamo fatto tutto quello che ci ha chiesto senza comprendere che quel “tutto” ci stava devastando l’anima, il fisico e la mente. Quel suo metodo stava peggiorando il nostro malessere».
Senza contraddittorio e senza confronti esterni.
«Una delle regole era quella di non parlare a nessuno, neppure ai nostri genitori o alle persone di nostra fiducia cosa si faceva durante i laboratori. Ci legava ad un vincolo di segretezza (con la scusa che tanto gli altri non avrebbero compreso le sue tecniche) che faceva quasi pensare di appartenere ad una “setta” e ci ha completamente isolati dagli amici, dai parenti, dagli affetti. Eravamo solo noi».
Una delle ragazze, ora donna, che si era allontanata per prima dal gruppo ricorda: «Quando ho detto che non volevo più partecipare, non ho mai più sentito nessuno degli altri, mi hanno totalmente tagliata fuori. E io, oltre a loro, non avevo più nessuno. Solo quando anche gli altri se ne sono andati dal Teatro della Crescita, siamo tornati a vederci, parlarci e chiederci scusa reciprocamente per il male che ci siamo fatti quando eravamo totalmente coinvolti nel “metodo”».
Il gruppo di ragazzi ha deciso di metterci la faccia e il coraggio di uscire allo scoperto, mettendo in piazza anche le loro fragilità convinti di essere stati manipolati senza pietà. «Ci siamo sentiti burattini nelle sue mani e non vogliamo che accada ad altri».

(Foto di copertina generata da AI)

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