A tre anni esatti dallo scandalo sui profughi “fantasma” nel centro di accoglienza di Piea, al tribunale di Asti è iniziato il processo a carico dell’ex parroco don Vittorio Bazzoni e di due cittadini pachistani, ex richiedenti asilo.
Due le diverse accuse delle quali devono rispondere tutti e tre in concorso: la prima è quella di truffa per aver dichiarato la presenza di profughi nel centro in numero superiore a quello reale. Scopo di questa falsa dichiarazione era quello di vedersi riconoscere le diarie mensili di 900 euro a profugo anche per quelli “inesistenti”.
L’altra accusa è quella di appropriazione indebita dei fondi della parrocchia, l’ente gestore del centro di accoglienza e dunque percettore delle diarie mensili. Questa accusa nasce dal fatto che la Procura di Asti contesta che due appartamenti e un negozio ad Asti siano stati acquistati con i proventi dell’attività del centro di accoglienza. Il negozio era gestito dai due pachistani che, arrivati come profughi, sono diventati in breve tempo il “braccio destro” di don Vittorio nell’amministrazione del centro.
Nei giorni scorsi sono sfilati i primi testimoni in aula, prevalentemente inquirenti che hanno partecipato all’indagine. Testimonianze sotto il fuoco di fila di domande di un’agguerrita difesa formata dagli avvocati Mirate (per don Bazzoni) e Avidano (per i due cittadini pachistani). Domande volte soprattutto a verificare come fossero stati individuati i profughi conteggiati in più rispetto a quelli che in effetti abitavano il centro di accoglienza.
Ma è per l’indebito uso dei fondi della chiesa che si è registrato il colpo di scena. Infatti, quando i tre uomini sono stati rinviati a giudizio, questo reato era tornato, per un breve tempo, perseguibile a querela e non più d’ufficio. Un’eccezione sollevata anche in questo caso dalle difese e che, accolta dal giudice, ha provocato il rinvio del processo a luglio per dare tempo alla parrocchia di sporgere l’eventuale querela.