La difesa di Franco Marino
Ultima tornata di arringhe difensive al processo Barbarossa che si avvia alla sua conclusione. Venerdì scorso è stata la volta degli avvocati degli ultimi due imputati, Franco Marino e Angelo Stambè: prossima udienza quella dell’11 dicembre in cui è prevista la sentenza dopo la Camera di Consiglio che si prospetta piuttosto lunga vista la complessità del processo.
La difesa di Franco Marino è stata appassionata e sofferta da parte del suo primo di due difensori, l’avvocato Maria Montemagno.
Per il suo assistito il pm ha chiesto una condanna pesantissima: 13 anni e 8 mesi. La pubblica accusa crede al pentito Ignazio Zito che in aula ha sostenuto che Marino fosse il braccio destro di Rocco Zangrà, esponente di spicco della ‘ndrangheta piemontese, responsabile della zona di Alba.
«E allora perché, in migliaia di pagine di atti, intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti di Rocco Zangrà, il nome di Marino non è mai venuto fuori? Zangrà, da dieci anni, è stato uno degli uomini più pedinati e intercettati del Piemonte; se Marino fosse stato il suo “pupillo” come vuol farci credere Zito, dovrebbe essere presente in discussioni, conversazioni, foto, video. E invece no».
Ricordando che, nel processo Barbarossa, compare all’incontro di Zangrà con i due imprenditori costigliolesi Biglino e Ughetto in un distributore di benzina. Ma Marino, secondo la lettura dell’accusa, gli avrebbe solo dato un passaggio, visto che Zangrà era senza patente in quel momento. E Marino, si vede dai video, ha passato tutta la durata dell’incontro in disparte a parlare al cellulare, senza partecipare ad alcuna conversazione del gruppo.
«E’ davvero credibile il pentito Zito? Parla di un “Franco” siciliano che fa il fruttivendolo, mentre Marino non è siciliano e non ha mai fatto il fruttivendolo. E quando gli hanno sottoposto gli album fotografici per il riconoscimento, lo ha indicato solo dopo molti tentativi. Quando, qui in aula, noi difensori gli abbiamo chiesto se conoscesse un Franco Marino, lui ha risposto di no. E allora forse siamo di fronte ad un collaboratore di giustizia non attendibile o che ha sbagliato persona».
E’ vero che Marino e Zangrà si conoscevano, ma la difesa fa risalire tutto ad una loro pregressa amicizia che si è rinfocolata quando il primo è stato minacciato pesantemente da un gruppo di sinti a seguito di un “affare” fatto insieme.
«Si rivolge all’amico affinchè lo aiuti, non perché lo considera un boss della città – ha detto l’avvocato Montemagno – Perché Marino non aveva bisogno di delinquere: aveva un lavoro regolare e nel tempo libero si allenava e allenava una squadra di ragazzini dediti alle arti marziali. Quando aveva tempo di essere il “braccio destro” di Zangrà?». E quando Zangrà gli parla di Vincenzo Emma (altro esponente di spicco del gruppo direttivo della locale astigiana), per la difesa è solo per ragioni di lavoro: Marino ha bisogno di cambiare le gomme alla sua auto e quell’altro è titolare di un negozio di pneumatici.
«Marino va assolto nella formula più ampia perché lui, con tutta questa storia, non ha nulla a che fare» è stata la richiesta congiunta dell’avvocato Montemagno con il collega Oscar Revelli.
Daniela Peira