Se per molte persone l'orario di lavoro, in questi tempi di crisi, è diventato più flessibile per adeguarsi alle esigenze di utenze e clienti, per le Poste rimane un dogma insormontabile. Anche troppo per qualche zelante impiegato come quello di un ufficio postale di un paese a nord della provincia. Il caso ci viene segnalato via posta da un lettore. «Sabato mattina dovevo effettuare il versamento di un assegno…
Se per molte persone l'orario di lavoro, in questi tempi di crisi, è diventato più flessibile per adeguarsi alle esigenze di utenze e clienti, per le Poste rimane un dogma insormontabile. Anche troppo per qualche zelante impiegato come quello di un ufficio postale di un paese a nord della provincia. Il caso ci viene segnalato via posta da un lettore.
«Sabato mattina dovevo effettuare il versamento di un assegno su un conto postale e questa operazione è possibile solo nell'ufficio presso il quale il conto è stato acceso. Già questa è una anomalia, nell'era di internet e di condivisione dei dati, ma non è questo che discuto. Visto che era per un famigliare anziano che non poteva muoversi, da contitolare del conto ho preso mezza giornata di ferie (anche io ho il sabato lavorativo) per andare a fare il versamento nel piccolo ufficio postale unico titolato a ricevere l'assegno».
E qui arriva il balletto delle ore. «Affacciatomi una prima volta nell'ufficio poco dopo le 11,30, ho visto una lunga coda di persone in attesa di essere servita allo sportello. Cosa che ho trovato normale trattandosi di inizio anno con tante scadenze che si accavallano. Ho così deciso di sbrigare una piccola commissione che dovevo fare, ripromettendomi di tornare poco dopo».
Cosa fatta dal lettore che si è ripresentato nell'ufficio postale alle 12,10 circa. «Dentro c'erano ancora 4 o 5 clienti in coda, ma come sono entrato, l'impiegato (l'unico) da dietro lo sportello mi ha detto perentoriamente che l'ufficio era già chiuso. Ho pensato che, essendo sabato chiudesse a mezzogiorno e me ne stavo andando rassegnato e arrabbiato con me stesso per non essermi fermato la prima volta quando, chiudendo la porta di ingresso dietro di me, ho letto in un cartello affisso sul vetro che l'orario era fino alle 12,45».
Il lettore è allora rientrato dentro facendo notare la cosa all'impiegato, sperando di sentirsi rispondere che il foglietto era sbagliato o superato dai nuovi orari. «Invece no, l'impiegato candidamente mi ha detto che l'orario scritto era giusto, ma che, testuale "tempo che finisca questi clienti in coda arrivano le 12,45". Mi sono cascate le braccia, non sapevo se ridere o arrabbiarmi con quell'uomo che mandava via i clienti mezz'ora prima della chiusura dell'ufficio. Visto che prevaleva il secondo istinto, ho preferito andarmene».
d.p.