«Hanno detto solo delle bugie qui in tribunale. Mio marito è un bravo compagno, un bravo padre, un gran lavoratore, non ha mai fatto le cose che dicono loro. Con le loro menzogne hanno rovinato una famiglia»: una dichiarazione accorata quella fatta dalla moglie di Kreshnik Nikolli in aula di tribunale alla nuova udienza del processo di usura. Con una laurea in ingegneria ambientale conseguita in Albania, si rivolge alle due donne, madre e figlia, che avevano raccontato ai giudici di avere contratto dei debiti con il marito a causa del loro vizio del gioco e che lui faceva parte di quella “squadra” di usurai, oggi sotto processo, che li tenevano in pugno e li minacciavano se non pagavano. «Non è vero – ha detto la donna in aula – Qualche volta è capitato che li incontrassi anche io con mio marito e i miei bambini e non c’era alcuna tensione fra loro, non avevano l’aria di aver paura di lui. Mi hanno anche fatto un regalino per la nascita del mio secondo figlio». Alla richiesta del perché a casa loro, durante una perquisizione, fossero stati trovati nascosti oltre 22 mila euro, la donna ha risposto che erano il frutto della vendita di un’auto e di una vincita alle scommesse e che non erano stati versati in banca perché il marito aveva un contenzioso aperto con Equitalia e non voleva tenere il denaro sul conto corrente. E ha dichiarato che non era loro la pistola trovata sui tetti vicino alla finestra di casa loro: «Era il tetto della casa vicina, non nostra». Il marito, allo stato attuale, è l’unico degli imputati ancora detenuto in carcere: gli altri sono in libertà, agli arresti domiciliari o con il solo obbligo di firma.
Curiosa anche la testimonianza di un noto geometra di Asti, titolare di uno studio, e della moglie che collabora come segretaria e archivista. Hanno confermato di avere fra i clienti storici una delle famiglie imputate in questo processo, gli Olivieri, in ragione di alcune pratiche edilizie legate ai condoni di fabbricati abusivi. A loro l’avvocato Dei ha chiesto conto di una frase in piemontese intercettata durante una telefonata partita dallo studio verso il figlio di Olivieri in cui chi chiamava ha sussurrato una frase in dialetto piemontese che tradotta più o meno sonava così “se no mi ammazzano..”. Una voce femminile che la moglie del geometra disconosce: «Escludo nel modo più assoluto di aver detto una cosa del genere al telefono» spingendo i difensori a chiedere di sentire la registrazione dell’intercettazione.
Fra le altre testimonianze anche quella del padre di un ragazzo già sfilato in aula la volta scorsa, chiamato dalla difesa Lo Porto per dimostrare che fratello e sorella oggi parte offese, in realtà tenevano comportamenti violenti in molte occasioni. Proprio questo testimone ha raccontato di essere stato aggredito e picchiato dal fratello che gli aveva anche rotto una mandibola e lo aveva fatto svenire in piazza. Ha detto di aver chiesto a Lo Porto di intervenire. E’ anche una delle persone contattate questa estate dal carcere, in modo clandestino, con un microcellulare. «Sì, è vero – ha ammesso in aula – ma mi è stato detto di venire a dire la verità, nient’altro».