Problemi ancora aperti
Alle varie cerimonie che la scorsa settimana hanno raccontato i 25 anni dall’alluvione che piegò il Basso Piemonte, lui non c’era. E non per disinteresse ma perché per lui e per le aziende che rappresenta, l’alluvione non è un drammatico fatto storico da consegnare al passato, ma una realtà ancora attuale nonostante siano passati così tanti anni.
Parliamo di Luca Matteja, consulente aziendale per molte imprese alluvionate, fra le “anime” del ricostituito Comitato Imprese Alluvionate e da anni protagonista delle rivendicazioni delle aziende che non hanno ricevuto i rimborsi e gli aiuti dovuti.
Il padre fece la legge, il figlio la difende
Un “figlio d’arte”, se così si può chiamare, visto che il padre, Bruno, era senatore dell’allora Lega Nord al Parlamento che legiferò la prima legge per gli aiuti agli alluvionati quando Roberto Maroni era Ministro agli Interni.
Se il padre, insieme ad altri parlamentari in un unico movimento trasversale politico piemontese contribuì a far arrivare gli aiuti alle aziende, ora il figlio lavora per non farli restituire.
Chi segue le vicende delle aziende alluvionate, infatti, sa che quella dei rimborsi è una storia paradossale che ha visto i piemontesi dare battaglia per essere considerati alla stessa stregua dei colleghi siciliani e poi, una volta ottenuto lo stesso trattamento in fatto di rimborsi Inps e Inail, i bastoni fra le ruote ce li ha messi l’Unione Europea che li ha definiti “aiuti di Stato non autorizzati”.
La decisione dell’Europa
La Commissione UE ha stabilito che le imprese alluvionate potevano tenersi le agevolazioni previdenziali e contributive solo al termine di un complesso ricalcolo di quanto già ottenuto sotto altre forme di rimborsi e di sostegno economico. La stessa Unione Europea, però, ha anche specificato che, vigendo in Italia l’obbligo di conservazione della contabilità solo per dieci anni, ad oggi non è più possibile ricostruire un conto attendibile di quanto ricevuto come aiuti rispetto ai danni subiti e quindi le aziende potevano tenersi i rimborsi ottenuti sulla base della precedente legge emanata a favore dei siciliani senza ulteriori riconteggi.
I giudici vogliono i calcoli giusti
Una conclusione evidentemente non condivisa dalla magistratura italiana che invece, alle aziende che sono arrivate fino in Cassazione per tenersi i rimborsi, ha risposto rimandando tutti i processi in Corte d’Appello per il famoso ricalcolo. Quattro gradi di giudizio che sfiancherebbero anche il più motivato degli imprenditori.
Caccia alle fatture negli archivi polverosi
«E’ qui che intervengo io in qualità di consulente di parte per aiutare le aziende a fare questo benedetto ricalcolo, nonostante l’Unione Europea lo abbia, di fatto “condonato” – dice Luca Matteja – A volte sembra una caccia al tesoro nel passato, con gli imprenditori che mandano le segretarie a recuperare le contabilità, ancora tutte in forma cartacea, stoccate in polverosi angoli di magazzini o in sgabuzzini. Si riprende in mano tutto, danni, fatture, preventivi, lavori eseguiti, rimborsi ottenuti 25 anni fa e si fanno i conti per arrivare a quanto le aziende che avevano già ottenuto i rimborsi Inail e Inps devono restituire. Se devono restituire».
Danni sottovalutati dai periti
E se già tutto questo basta da solo a dare la misura dell’assurdità di quanto viene chiesto alle aziende alluvionate 25 anni fa, vi è un altro particolare che nelle aule di giustizia rappresenta un grande ostacolo per chi vorrebbe una volta per tutte mettere la parola fine al diritto al rimborso.
«Come consulente di parte mi trovo a confrontarmi con i periti del giudice – prosegue Matteja – e con tutti mi scontro su un dato penalizzante per le aziende. Tutti i calcoli per il riconteggio fra il danno subito e gli aiuti ricevuti partono da una cifra precisa: la stima dei danni contenuta nella perizia che tutte le imprese obbligatoriamente dovettero presentare nel 1995 per ottenere i primi contributi e per accedere ai mutui agevolati per far ripartire le loro attività. Una cifra che, per tutte, si è rivelata di molto inferiore agli effettivi danni subiti visto che lì non erano contemplate voci come il fermo attività, la perdita di clienti e fornitori, la necessità non voluta di accendere mutui con conseguenti oneri ed interessi seppur agevolati, il deprezzamento del valore immobiliare delle sedi operative che si trovavano sulle fasce fluviali. Insomma, quella era una cifra molto sottostimata rispetto al reale ma i periti la considerano invece la cifra finale e complessiva del danno subito sulla quale fare i conteggi».
Ad esempio un’azienda aveva presentato una stima iniziale di 500 mila euro che, nel giro di pochi anni si erano rivelati invece 2 milioni; un’altra aveva presentato la stima di 200 mila euro salvo poi aver conservato e presentato fatture per lavori effettivamente eseguiti per 800 mila euro.
«Tenuto conto che anche queste cifre finali sono sottostimate visto che, dopo tanti anni, qualche fattura di acquisto è andata persa».
E, ancora una volta, ci si rivolge alla politica affinchè svolga il suo ruolo nella difesa delle attività.
«Fra gli aiuti ottenuti dalle aziende vengono ricompresi anche i contributi per la rilocalizzazione in aree non a rischio di esondazione – spiega ancora Luca Matteja – Ma si tratta di una legge successiva e quegli aiuti devono essere scorporati dal conto degli aiuti. Abbiamo interessato il vice presidente della giunta piemontese Fabio Carosso affinchè la Regione emetta un parere che affermi proprio questa circostanza».