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Cronaca

«Troppe le verità di Buoninconti»
Ecco le motivazioni della condanna

Depositate le motivazioni della condanna a trent'anni del marito di Elena Ceste – Fra i passaggi più importanti ciò che ha spinto il giudice a respingere l'ipotesi della morte per freddo dopo crisi psicotica – Le telefonate di Michele alla moglie il mattino della scomparsa erano solo per verificare di non aver perso il cellulare della donna mentre ne scaricava il corpo nel rio

Un libro: con le sue quasi 300 pagine, le motivazioni depositate dal giudice Amerio sulla condanna di trent’anni inflitta a Michele Buoninconti, hanno le dimensioni di un libro. Un meticoloso lavoro che ha ripercorso, punto per punto, tutto ciò che è stato portato in indagine e che è stato riferito in aula, con il filo logico che si è venuto a delineare nella mente del giudice chiamato a pronunciarsi su uno dei processi più difficili e seguiti del tribunale di Asti. Per il dottor Amerio, Elena Ceste è stata uccisa dal marito Michele Buoninconti la mattina del 24 gennaio 2014, la stessa che segna la sua scomparsa. E’ stata uccisa nella camera da letto della loro casa di via San Pancrazio a Motta di Costigliole, è stata lì denudata e il suo corpo è stato nascosto dal marito nel rio Mersa con la certezza che lì non sarebbero mai andati a cercarla, conoscendo bene i protocolli e le procedure delle ricerche di persone scomparse, essendo egli stesso un vigile del fuoco.

Nelle motivazioni l’estensore recepisce una ad una le contraddizioni fatte emergere dalla difesa di Michele e l’opposta lettura della morte di Elena fatta dai suoi avvocati e dalla sua difesa, ma alla fine, conclude sempre per una maggiore validità della tesi della Procura, sostenuta dal pm Deodato. A partire dalla causa della morte, tanto discussa in aula. In assenza di restituzione di una causa certa da parte dell’autopsia a causa dell’avanzato stato di decomposizione dei resti rinvenuti, la scelta finale è stata fatta su dati oggettivi del ritrovamento e sul calcolo stastistico. E ha vinto la tesi dell’omicidio su quella della morte per assideramento avanzata dalla difesa.

Si ripercorre quanto già detto dal dottor Testi, consulente della parte civile incaricato dagli avvocati Carlo Tabbia e Deborah Abate Zaro, ovvero che la probabilità che Elena, in preda a crisi acuta psicotica avesse anche manifestato una fuga dissociativa da casa sua completamente nuda per finire la sua corsa nel rio Mersa è circa di 1 su un milione. E, ancora, la morte per assideramento, nelle fasi finali di una lenta e graduale agonia, non avrebbe fatto ritrovare i resti in posizione sostanzialmente composta, con il corpo adagiato sulla schiena, le braccia tese lungo il corpo, le gambe stese e la faccia appoggiata per terra. In quella posizione, secondo i medici legali di accusa e parte civile, Elena è stata adagiata fin dall’inizio, perché il processo di “saponificazione” dei resti appoggiati al fondo del canale dimotrano che da lì non è mai stata spostata né lì ci è arrivata con la corrente. Il giudice sottolinea come dell’asserito stato psicotico di Elena parli esclusivamente Michele, mentre tutti gli altri testimoni riferiscono di non aver mai avuto percezione di tale condizioni mentali della donna.

Michele racconta che la moglie, fin dal giorno prima della scomparsa, aveva avuto un peggioramento della sua salute mentale, ma i figli della coppia hanno invece riferito di una madre tranquilla sia la sera prima, sia la mattina della scomparsa. A pesare sulla decisione del giudice vi è poi la condotta generale di Michele, già sotto intercettazione ben prima del ritrovamento del cadavere della moglie, che ha fornito molte versioni diverse agli inquirenti che indagavano sul caso. In un passaggio il giudice parla di un Buoninconti che non assume “una linea coerente, perché le varie versioni declinate sono condizionate alla sua deriva camaleontica in risposta all’evoluzione dell’indagine”. Un uomo che sonda le conoscenze di altri, le elabora e poi le integra, le accomoda, intervenendo con rettifiche e precisazioni prive di riscontro obiettivo.

Più pagine sono dedicate all’opera di depistaggio dell’uomo nei confronti dei colleghi vigili del fuoco impegnati senza sosta nella ricerca della moglie. In un passaggio uno di loro diche che il comportamento di Buoninconti “è sempre stato improntato alla presa in giro, ci ha mortificati durante le ricerche e subito dopo”. Riferendosi al fatto che, con le sue affermazioni, continuava a dire che dovevano cercare più lontano e che era inutile fare le battute in zona perché sicuramente l’avevano portata via e che lì vicino aveva già cercato lui. Fra i “macigni” d’accusa vi è il “pasticcio” dei vestiti di Elena rinvenuti e consegnati da Michele ai carabinieri per far credere che la donna si fosse allontanata da casa nuda. Prima dice di averli trovati in due momenti distinti (prima le ciabatte e il maglione e poi il resto degli indumenti) in orari diversi, poi dice di aver trovato tutto alle 10,30 ma un’ora prima, nell’immediatezza, aveva già parlato di questo strano particolare.

Stessa storia per gli occhiali: ai carabinieri dice di averli trovati tardi, al parroco dice di averli trovati fra i panni sul sedile della macchina e ai parenti di averli invece rinvenuti in cucina sotto il tavolo. A questo si aggiunge il “giallo” della biancheria intima che alcuni testimoni dicono di aver visto, di colore bianco sull’auto di Michele qualche ora dopo la consegna da parte dello stesso ai carabinieri che era di colore diverso. Anche sul ritrovamento del cellulare di Elena, il giudice illustra la sua convinzione. Buoninconti rientrò alle 9,30 a casa per recuperarlo dopo aver più volte fatto il numero dal suo. Per Amerio l’apprensione era dettata dal timore di averlo perso nel tragitto o, peggio ancora, nell’atto di nascondere il cadavere della moglie e dunque era necessario rintracciarlo. Quel telefonino fu poi trovato a casa.

Chiarissimo il movente: “l’innesco dell’intento omicidiario” va ricercato nelle relazioni extraconiugali della moglie di cui Michele venne a conoscenza già nell’autunno precedente. Con il passare dei mesi hanno prevalso “disegni distruttivi” quando ha avuto la percezione che la moglie, dopo l’apparente pentimento, non desisteva dalle sue distrazioni sentimentali. Lapidario anche il giudizio sul ruolo di padre di Buoninconti: "Quello che appare fortemente stigmatizzabile (e che si riflette sulla personalità criminale dell’imputato) è la totale disinvoltura con la quale l’imputato non esita a manipolare e sfruttare i sentimenti dei propri figli per evitare quel progressivo accerchiamento investigativo sorto quando nessuna altra possibile soluzione pareva (e pare) praticabile".

Daniela Peira

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