Giusto un anno fa Oreste Agostinetti, di Villanova, veniva arrestato all’aeroporto di Cartagena, in Colombia, dopo il controllo dei bagagli all’imbarco per rientrare in Italia nei quali sono stati trovati 3 pacchi di cocaina per un peso complessivo di poco più di 3 chilogrammi.
Da allora è detenuto nel carcere della città colombiana e solo dopo molti mesi la sua famiglia, in ansia, è riuscita a sapere che si trovava lì e il motivo della sua carcerazione. Con tutti i dubbi e le domande senza risposta che girano intorno ad un ritrovamento e un arresto del genere a carico di un operaio che non ha mai avuto problemi con la giustizia e si era allontanato da Villanova per un viaggio in Spagna.
Per Oreste si è mossa la Prefettura di Asti e l’ambasciata italiana in Colombia che ha raccolto informazioni sulle accuse che gli venivano mosse e, soprattutto, su sollecitazione della famiglia, lo ha messo in contatto con fratello e cugino attraverso due videochiamate. Delle quali, la prima, appena qualche mese fa.
A distanza di 12 mesi dall’arresto, poche settimane fa è arrivata anche la condanna. Con un processo che si è tenuto in videoconferenza alla presenza del giudice, dell’avvocato di ufficio colombiano assegnato, di un traduttore e di Oreste che si trovava nella saletta colloqui del carcere di Cartagena.
«Oreste ci è apparso al processo come nell’ultima videochiamata, molto provato – spiega il fratello Giovanni – E’ molto dimagrito rispetto a quando l’abbiamo visto partire da casa, ha il capo completamente rasato e ci implora di trovare un modo per tornare in Italia. Per poter scontare la sua pena qui, in patria, con la possibilità di incontrare la sua famiglia».
E la pena che gli è stata inflitta non è uno scherzo.
Infatti, con uno strumento giudiziario che può essere assimilabile al nostro patteggiamento, ha ammesso la sua colpevolezza e ha firmato un accordo per non fare il dibattimento ma accettare la condanna inflitta dal giudice. Godendo di alcuni benefici e “sconti” di pena. Nel processo non si è mai entrati nel dettagli del sequestro della cocaina.
La pena finale è stata comunque di quattro anni di carcere e una multa di 445 salari minimi colombiani (circa 300 euro) che equivale ad un totale di circa 120 mila euro.
Nell’udienza davanti al giudice, Oreste è apparso comunque lucido e presente e ha “rotto il silenzio” (equivalente di non avvalersi della facoltà di non rispondere) per far presente alcune rimostranze. «Quando ho firmato l’accordo con il mio avvocato d’ufficio – ha detto Agostinetti – ho accettato la pena di 4 anni ma non si parlava di una multa così alta. E, inoltre, sull’accordo c’è scritto che potevo avere diritto alla detenzione domiciliare e alla libertà vigilata dopo aver scontato tre quinti della pena».
La risposta del giudice è stata una doccia fredda: «La sanzione è prevista per legge e per un reato così grave come il narcotraffico non è prevista alcuna pena sostitutiva (o meglio “surrogato penale” secondo il codice colombiano). Lei dovrà scontare tutti e quattro gli anni inflitti e come unico beneficio potrà studiare o lavorare in carcere. Tenga conto – ha precisato il giudice – che la pena che ho deciso tiene già conto di un largo margine di beneficio perché è ridotta di 2/3 del minimo della pena che sono 128 mesi. Questo perchè lo consideriamo un tentativo di traffico di droga all’estero».
Viste le rimostranze dimostrate verso la spiegazione dell’accordo fatta dall’avvocato d’ufficio, il giudice più volte gli ha chiesto se ha firmato l’accordo sotto costrizione, minaccia o effetto di alcol o sostanze stupefacenti. «Sono stato liberissimo di accettare» la risposta di Oreste con aria tristemente rassegnata.
Di qui, ora, la battaglia della famiglia per farlo estradare in Italia. «Vorremmo trovargli un avvocato di fiducia in Colombia che abbia a cuore l’interesse di Oreste e ci aiuti, insieme all’impegno dell’Ambasciata, a far rimpatriare mio fratello in Italia. Temo seriamente per la sua salute».
Provincia di Asti
- Redazione