Arriva simbolicamente nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne la sentenza a carico di un uomo che era accusato di aver approfittato, per oltre un mese, di una donna con ridotte capacità di difesa a causa della paralisi di un braccio a seguito di un ictus.
E’ il tribunale di Asti ad averla emessa, (presidente Giannone con i colleghi Bonisoli e Sparacino) a fronte di una richiesta di condanna ad 8 anni e 4 mesi formulata dal pm Laura Deodato al termine di una argomentata requisitoria.
Durante la quale è stata ripercorsa la vicenda: un caso da “Codice Rosso” in cui le violenze si sono consumate fra la fine del 2020 e il gennaio del 2021. La donna, che vive nella zona di Costigliole e non può lavorare a causa della sua disabilità, divideva già l’appartamento con una coppia di amici che l’aiutavano nel pagamento delle spese e l’aiutavano nei lavori di casa. Ad essi si è aggiunto l’uomo che viveva ai confini con la provincia di Cuneo ma aveva trovato lavoro vicino a Costigliole e cercava una sistemazione abitativa più comoda.
La vittima, in una lunga e sofferta deposizione in aula dietro un paravento, tanta era ancora la paura di incrociare lo sguardo dell’imputato, ha detto che fin dal primo giorno l’ospite si è comportato come fosse lui il padrone. E non solo padrone della casa ma anche, e soprattutto, padrone di quella donna in condizioni di fragilità. Ha fatto un lungo racconto di sopraffazioni, di minacce, di soggezione fisica e psicologica, di isolamento dal resto del mondo, di divieti di uscire di casa e incontrare altre persone, di obbligo a fare ciò che lui gli chiedeva, compreso rispondere con affetto e gentilezza ai messaggi sul cellulare perchè «altrimenti l’avrei pagata cara».
E poi il pieno assoggettamento sessuale: la donna era obbligata a soddisfarlo a letto, come e quando voleva lui, senza potersi sottrarre. Quelle poche volte in cui ha provato a ribellarsi, ha raccontato di essere stata presa per il collo fino quasi a soffocare mentre spesso veniva colpita alla testa. Proprio dopo una pioggia di pugni forti dati al capo la donna si è sentita male e lui l’ha portata in ospedale, per controllarla anche lì e, giusto per aggiungere il disprezzo alla violenza, quando è stata dimessa dagli esami le ha chiesto: «La Tac ha fatto vedere che ti dò i pugni?».
Un inferno finito in una fredda notte di fine gennaio quando, dopo l’ennesimo assalto a letto, lui si è addormentato ubriaco e lei, che aveva temuto per la sua vita, ha trovato il coraggio di fuggire da casa, così come si trovava, in pigiama, e, dopo aver chiesto aiuto ad un amico, ha chiamato i carabinieri per sporgere denuncia. «Perchè – ha detto con potente semplicità – io avevo visto che mi avrebbe ammazzato».
«In questo processo – ha detto il pm Deodato in un passo della sua requisitoria – abbiamo assistito ad un raro livello di intensità della volontà di usare violenza contro una donna indifesa».
Fra l’indifferenza generale. Perchè neppure la coppia con cui condividevano l’alloggio ha mai pensato di difenderla e di allontanare quell’inquilino violento.
Versione che la difesa dell’imputato, sostenuta dall’avvocato Scagliola di Alba, ha provato a ribaltare sia in dibattimento che nell’arringa finale. Per lui e per il suo assistito le cose sono andate ben diversamente: «I due si conoscevano e si frequentavano già prima che l’imputato andasse a vivere da lei. Erano una coppia a tutti gli effetti e i rapporti sessuali rientravano in una normale relazione di persone innamorate. E’ lei che, ad un certo punto, ha perso interesse per l’imputato a favore di un’altra persona e una denuncia per violenza sessuale, del tutto infondata, è stata vista come modo per troncare la relazione. Tutto quello che è stato raccontato prima nei verbali e poi in aula è tutto inventato».
Una lettura che, evidentemente, non è stata condivisa dal collegio di giudici che invece ha creduto alla genuinità del lungo e sofferto racconto di un mese di inferno.