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Cultura e Spettacoli

A tu per tu con Nadia Pastrone,
scopritrice della “particella di Dio”

Mi viene incontro con la maglietta rossa della Notte dei Ricercatori, Nadia Pastrone, la fisica astigiana che all'Università ha raccontato agli studenti ciò che si fa al Cern e in particolare

Mi viene incontro con la maglietta rossa della Notte dei Ricercatori, Nadia Pastrone, la fisica astigiana che all'Università ha raccontato agli studenti ciò che si fa al Cern e in particolare l'esperimento CMS, che ha contribuito alla scoperta del bosone di Higgs, meglio nota come la "Particella di Dio". Sappiate però, fin dall'inizio, che questo termine non piace affatto alla nostra scienziata.
Mentre ci sediamo per bere il nostro caffé, le chiedo di riavvolgere per un momento il nastro dei ricordi e di raccontarmi come mai una ragazza che ha frequentato il liceo classico Vittorio Alfieri, a un certo punto, decide di fare della scienza e in particolare della ricerca, il suo lavoro.
Scopro che tutto è nato da una sfida, quando Nadia Pastrone mi dice: "Sono sempre stata più portata per la matematica e quando dovevo iscrivermi al liceo tutte le mie amiche più care si iscrivevano allo Scientifico. Nel momento di scegliere, qualcuno mi disse: "Tu non ce la farai mai a fare greco", proprio allora ho deciso che avrei fatto il Classico. Il programma prevedeva molte ore di materie umanistiche così, per tirarmi su, facevo tutti i giorni esercizi di matematica."
Nella vita però la fortuna ha il suo peso e così Nadia si trova ad avere una professoressa di matematica molto preparata che faceva i laboratori di fisica al Classico e che ha saputo stimolare i ragazzi con un debole per le materie scientifiche. "La professoressa Lerma mi ha dato molto, era severa e dovevamo studiare parecchio. In definitiva il Liceo Classico mi ha dato questo: non penso mai che non ce la posso fare."
Così, anche se suo padre l'avrebbe voluta ragioniere, Nadia Pastrone, vuoi per i laboratori frequentati al liceo, vuoi per avere assistito a un convegno di Tullio Regge che venne allora ad Asti, si iscrive a fisica.
Ma la strada per il successo, non è priva di ostacoli e Nadia scopre che quella facoltà non era precisamente come l'aveva immaginata. La molta teoria e la poca pratica, fanno vacillare le sue convinzioni. "Ebbi un momento di crisi e pensai seriamente di cambiare facoltà, ma poi sono rimasta e mi sono innamorata della fisica delle particelle."
Mentre mi dice questo noto che lo sguardo è davvero quello di un'innamorata e che il suo lavoro è in qualche modo inscindibile da lei stessa, perché di lei sembra essere parte fondamentale.

Le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia
Le chiedo come l'essere donna sia percepito nell'ambiente di laboratorio e mi dice: "A me non è mai sembrato strano perché quando ho iniziato il mio capo era una donna. Ricordo una delle mie prime estati al Cern, italiane e spagnole all'epoca erano le uniche donne. Non ho mai neanche pensato a un complesso di inferiorità rispetto agli uomini nemmeo quando ho lavorato negli Stati Uniti all'accumulatore di antiprotoni di Fermila. Ero l'unica giovane donna italiana a cui venivano sempre affidati i turni di notte e le cose più faticose."
Per una donna a inizio carriera, le difficoltà non sono solo quelle di laboratorio. Mi chiedo come abbia fatto a conciliare un lavoro che spesso porta fuori dai confini nazionali con un marito e soprattutto due figli.
"Quando i miei figli erano piccoli andavo in America, sono stata molti anni al Fermilab viaggiando sempre e portando là i miei bambini per tre estati. Il più piccolo aveva un anno e mezzo e non dormiva mai, mi hanno aiutato tantissimo i nonni. Il vero dramma avveniva quando io ero già via e da un giorno all'altro la sua azienda diceva a mio marito, fisico anche lui, che doveva partire. Da Asti mia madre prendeva il treno per venire a casa nostra a Torino."
Oggi quei bambini sono cresciuti, uno è ingegnere e l'altro maestro di sci.

La popolarità
La notte dei ricercatori serve un po' ad accorciare la distanza tra i laboratori e la gente comune. Mentre Costantin, il fotografo ci scatta una foto, chiedo a Nadia Pastrone se secondo lei le persone capiscono davvero ciò che lei fa in laboratorio e mi risponde: "Non credo. Ora siamo diventati improvvisamente di moda e non siamo abituati a questa attenzione. Prima mi sedevo con i genitori dei compagni dei miei figli alle riunioni di scuola e mi guardavano in modo strano, come per dire "questa fa fisica, è una che non si può capire", ora apparentemente tutti sanno quello che faccio, ma in realtà non lo sa nessuno. E' molto difficile da capire perché la mia è una realtà fatta di cose molto complicate e inarrivabili e cose pratiche, quasi stupide, che facciamo tutti nella vita di tutti i giorni".
Il bosone di Higgs si cercava da anni, si tratta di quella particella che interagendo conferisce una massa a tutte le particelle elementari. Trovarlo non è stata una cosa banale e Nadia Pastrone ha guidato i fisici italiani che hanno partecipato all'esperimento CMS, uno dei due esperimenti che hanno portato alla scoperta appunto del bosone. L'esperimento ha coinvolto migliaia di fisici da tutto il mondo e la fisica astigiana mi confessa di avere avuto non poche perplessità sulla sua realizzabilità.
"Mi sembrava che non si potesse fare e che ci fossero troppe persone da coordinare, ero perplessa. Mi sbagliavo e ho capito che davvero ciascuno conta e che se ognuno, in quei cinque minuti importanti, usa la sua testa, può determinare una decisione."
Avverto la sua emozione mentre parla di questo risultato importante, che tra l'altro le è valso anche il Premio Ravani Pellati da parte dell'Accademia delle Scienze. Istituito nel 1927 il premio è destinato a un cittadino italiano che abbia contribuito al progresso nel campo della Fisica o della Chimica.
Mi conferma il suo stato d'animo quando mi dice "Per me è stata un'emozione grandissima vedere funzionare qualcosa che è grande come un palazzo, a cui hanno lavorato in tutto 6000 persone e sapere che ne ho fatto un pezzetto e quanto sacrificio e lavoro c'è dietro a quel pezzetto".

Il suo rapporto con la fede
Mi chiedo se la fede possa convivere insieme alla razionalità che necessariamente un fisico possiede più di altri. Se analizzare i pezzetti più piccoli del nostro universo per scoprirne l'essenza e l'origine, possa coesistere con l'idea di un Dio creatore. Nadia Pastrone soddisfa la mia curiosità.
"Sono stata cattolica fino a un certo punto e ho anche insegnato catechismo, quando poi ho deciso che c'era troppa rigidità di fronte alla vita e che non si può giudicare una persona come buona o cattiva rispetto alle scelte che compie. Ho deciso che le cose che consideravo ingiustizie non le potevo tollerare, così oggi credo più nella libertà e nel fatto di avere dei valori nel vivere i rapporti con le persone. In generale però penso che la scienza non precluda la fede."
Continuiamo a chiacchierare davanti a due tazzine ormai vuote e Nadia Pastrone invita me e il giornale al Cern, la cui atmosfera mi fa un po' respirare, con il suo racconto. Questo luogo magico in cui si cercano di scoprire i misteri dell'universo, dove il premio nobel arriva con il maglione un po' rovinato e si siede a mensa con i colleghi e il lavoro è cosi intenso che i colleghi smettono di essere colleghi e diventano amici.
"Recentemente ? continua Nadia – abbiamo festeggiato gli 85 anni del mio capo che ha lavorato fino a poco tempo fa. Ho guardato le persone che erano con me e ho capito che seduta a quel tavolo c'era davvero la mia seconda famiglia".

Alessia Conti

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