Si intitola “Lungo le rotte del cuore” il nuovo libro di racconti di Aldo Giordanino, uscito nei giorni scorsi per la casa editrice Robin (261 pagine, 16 euro). E’ il secondo volume pubblicato quest’anno – a pochi mesi dal romanzo “Amore, dei & cioccolatini per l’anima” (Montag) – per l’autore astigiano, bancario di professione, che ha all’attivo oltre 15 libri pubblicati e diversi riconoscimenti.
Giordanino, è tornato ai racconti?
Sì, con questo libro riprendo il passo del novelliere, dopo una pausa dedicata al romanzo, genere con cui peraltro avevo cominciato negli anni Novanta.
In questo caso l’editore ha voluto proporre una raccolta di 18 racconti eterogenei dal punto di vista dell’ambientazione, a livello storico e geografico, che, personalmente, rappresentano il bilancio di oltre oltre trent’anni dedicati alla scrittura.
Quindi i racconti del volume sono stati scritti in periodi molto diversi…
Sì, abbracciano un periodo piuttosto lungo. Il più datato, intitolato “Di venerdì”, risale al 1998 e, con riferimento alle Sacre Scritture, vede protagonista il soldato romano che trafigge Gesù con la lancia.
I temi trattati
Ci sono altri racconti legati a fatti storici?
Sì, dato che sono un appassionato di storia. Ad esempio, “Per tre giorni di libertà” è ambientato all’epoca della Repubblica Astese, proclamata il 28 luglio 1797 e caduta dopo tre giorni. Qui racconto le ultime ore di vita di Secondo Arò, uno dei capi della rivoluzione.
Altro riferimento storico quello contenuto nel racconto “Una pallottola nel presepe”: in questo caso un turista tedesco racconta ad una catechista astigana di essere stato protagonista della cosiddetta “Tregua di Natale” del 1914, la serie di “cessate il fuoco” non ufficiali avvenuti a fine dicembre in varie zone del fronte occidentale della Prima guerra mondiale. Ricordando quel fatto, consegna una pallottola non utilizzata da porre nel presepe della parrocchia, dato che la guerra si era fermata nel nome di Gesù Bambino.
Nel libro c’è anche il racconto che le è valso il World Literary Prize a Parigi…
Sì, si tratta di “Don’t cry for her Palestina”, in cui parlo di un viaggio in Israele negli anni Novanta.
Esiste un fil rouge che lega tutti i racconti?
I protagonisti delle mie storie mettono il cuore in ciò che fanno, anche a costo di pagare un prezzo alto.