«Sono stato molto contento di tornare ad esibirmi, dopo lo stop dovuto alla pandemia, in un vero teatro all’italiana, come quello di Asti, con un pubblico festante».
Sono le parole del trasformista Arturo Brachetti, famoso in tutto il mondo, che lo scorso fine settimana (sabato sera e domenica pomeriggio) si è esibito all’Alfieri. Teatro da cui è partito il tour dello spettacolo “SOLO. The Legend of quick-change”, con cui ha scelto di festeggiare il ritorno sul palco.
Perché ha scelto la nostra città?
Essendo di Torino, volevo ricominciare da un teatro piemontese. L’Alfieri è tra i migliori della regione: è bello, comodo, un vero teatro all’italiana con palchi e velluti rossi. Qui sono riuscito anche a fare alcuni giorni di prove.
Per lei il Teatro Alfieri ha rappresentato un ritorno…
Sì, mi ero già esibito sei anni fa. Inoltre conosco la città, perché vi abitano molti amici con cui mi è capitato spesso di frequentare bar e ristoranti, e la corsa del Palio. In passato, poi, ho avuto il piacere di frequentare lo scenografo Eugenio Guglielminetti (mancato nel 2006, ndr).
Il periodo dei lockdown
Come ha vissuto il periodo della chiusura dei teatri causa pandemia?
Nel primo periodo il lockdown sembrava quasi un bel gioco, con la gente che cantava sui balconi. Poi, con il passare dei mesi, quella sensazione è sfumata. Il periodo peggiore per me è stato quello tra marzo e aprile di quest’anno, quando noi artisti pensavamo di poter tornare a lavorare e, invece, non siamo riusciti a vedere la luce in fondo al tunnel. Io e i miei colleghi ci domandavamo se davvero i teatri nel mondo avrebbero riaperto le porte. Per fortuna è successo. Ma un altro interrogativo ci preoccupava: la gente sarebbe tornata a vedere gli spettacoli oppure no, avendo perso il desiderio di vivere questo tipo di emozioni? Per quanto mi riguarda, ho potuto constatare che la gente è molto desiderosa di tornare a vedere gli spettacoli dal vivo. Lo stesso sta accadendo ai miei colleghi all’estero. Solo un mese fa ho preso parte ad un festival di circo, dove ho incontrato numerosi operatori circensi estremamente irrequieti per il timore della risposta del pubblico. Ora mi stanno segnalando che stanno vedendo un afflusso di spettatori come nel 2018. L’unica differenza è che la gente acquista i biglietti all’ultimo, per essere sicura che lo spettacolo si svolga.
Alla luce di questa situazione, quali sono i suoi programmi per i prossimi mesi?
Sarò impegnato con il tour di “SOLO. The Legend of quick-change” fino al 25 aprile, tra Svizzera e Italia. Poi parteciperò per tutta l’estate al Festival musicale di Salisburgo e, successivamente, dovrebbe debuttare lo spettacolo “Cabaret”.
Al termine della sua esibizione di sabato ad Asti è salito sul palco don Silvio Mantelli, in arte Mago Sales. Qual è il vostro legame?
Senza di lui non sarei diventato l’artista che sono. Mi ha condotto nel mondo della magia quando avevo 13 anni, riscattando un ragazzino timido. Così, ogni tanto, lo invito sul palco per supportare l’attività benefica della sua Fondazione. Io stesso, in passato, ho devoluto l’incasso di uno spettacolo che avevo tenuto a Parigi, grazie a cui don Mantelli ha realizzato un dispensario in Africa.
Elisa Ferrando
Lo spettacolo: tutto esaurito e tanti applausi
Prevedibilmente straordinario. E’ stato così lo spettacolo che Arturo Brachetti ha portato in scena al Teatro Alfieri di Asti sabato sera e domenica pomeriggio con un – di nuovo prevedibile – tutto esaurito. Uno spettacolo che lo ha visto protagonista con la sua arte. Un viaggio nel tempo e contro il tempo iniziato da una piccola casetta di legno appoggiata sul palco – la casa di Brachetti, della sua infanzia e dei suoi sogni – e da un cappello, regalo del nonno, con un buco in centro «perché quel buco è da riempire con la fantasia».
Da Batman a Biancaneve
Un’immaginazione grazie a cui Brachetti è stato, in poco meno di un’ora e mezza, sessanta personaggi diversi di trasmissioni televisive o famose favole, dall’Incredibile Hulk a Batman, dalla famiglia Addams a Peter Pan, da Aladino a Biancaneve.
Sette stanze della piccola casetta, visitate dalla fantasia e dalla magia di Arturo Brachetti, che hanno dato vita a storie e ricordi, come la macchina da cucire che gli riporta alla mente un abito della mamma, un vestito azzurro che appare sul palco e con cui l’artista si mette a ballare. Momenti incantati che stupiscono adulti e bambini presenti, che applaudono ad ogni cambio di abito, ad battuta, scena, al passaggio repentino delle quattro stagioni che Arturo Brachetti “interpreta” sulla musica di Vivaldi o alla sceneggiata del matrimonio in cui, quasi contemporaneamente, è la sposa e lo sposo, il prete e il cuoco, la cameriera e la nonna.
Il tutto davanti a un pubblico entusiasta che aspetta le sue trasformazioni cercando di capire come si può essere Luciano Pavarotti e un attimo dopo Elvis Presley, i Beatles e subito dopo Freddie Mercury che canta “We are the champions”. Passando da una stanza all’altra poi, anche la sua ombra ha preso vita, staccandosi da lui e diventando una sorta di aiutante.
Ma Brachetti non è stato solo trasformismo e magia. Ha portato sul palco anche le ombre cinesi o la raffinata sand painting (animazione con la sabbia). Ha duellato con la sua ombra (Kevin Michael Moore) impugnando fasci di luce, ha volato come una farfalla sul palco.
Al termine ha ringraziato, presentato i suoi collaboratori, si è inchinato. E un attimo dopo non c’era più.
Monica Jarre