L’analisi di Fulvio Coltorti
«La crisi che stiamo vivendo è la peggiore dei tempi moderni. Ed è diversa da quelle vissute in passato perché, per la prima volta, il sistema economico è stato messo in una sorta di “coma farmacologico” in forza di una legge».
Sono le parole del noto economista Fulvio Coltorti, ospite mercoledì scorso dell’appuntamento on line “Passepartout chez toi” promosso dalla Biblioteca Astense e intitolato “Economia e Covid”. Già direttore emerito dell’Area Studi Mediobanca e direttore dell’Area storica di Mediobanca, in passato Coltorti è stato Capo dell’Ufficio Studi e responsabile della R&S (società controllata al 100% da Mediobanca) fin dai tempi di Enrico Cuccia.
A dialogare con lui Antonio Rinetti, componente del consiglio di amministrazione della Biblioteca Astense, che ha ricoperto posizioni di vertice nell’ambito della gestione delle risorse umane presso numerose aziende e istituzioni bancarie internazionali.
La crisi economica
Rinetti ha cominciato l’incontro domandando a Coltorti se, come molti affermano, «stiamo vivendo la peggiore crisi dei tempi moderni e in cosa si differenzia da quelle del passato».
«Di sicuro è la più grave», ha risposto Coltorti. «Ed è diversa perché, per la prima volta, l’attività economica dell’Italia e di quasi tutti gli Stati con cui il nostro Paese è in contatto è stata bloccata in forza di una legge. Tutto il sistema è stato messo in una sorta di “coma farmacologico”. Per capirne gli effetti, basti pensare alle conseguenze pratiche. L’effetto del lockdown ha significato per gli Stati Uniti, l’economia più performante prima del Covid, il passaggio da una situazione di virtuale piena occupazione ad una situazione in cui i disoccupati sono il 16% del totale».
La risposta dell’Unione europea
Quindi Rinetti ha fatto riferimento a come l’Unione europea ha affrontato la pandemia, sottolineando come inizialmente non abbia reagito molto bene.
«La crisi è nuova – ha affermato Coltorti – per cui tutti sono stati presi alla sprovvista. L’Europa in modo superiore perché si è trasformata in questi anni da unione che avrebbe dovuto essere ideale e perfetta a fiera degli opportunismi in cui ogni Paese pensa per sé, tanto che alla fine è una unione già dissolta. In tale contesto la presidente della BCE Christine Lagarde, forse per inesperienza all’interno della Banca Centrale Europea, ha sbagliato nel parlare in pubblico di un aspetto abbastanza delicato, rischiando di mettere l’Italia in difficoltà sui mercati finanziari. E, in secondo luogo, ha tralasciato in quel momento il ruolo principale della Banca Centrale Europea, che consiste nel mantenere l’area euro.
Successivamente, il 12 marzo, la BCE ha cambiato un po’ parere, obtorto collo, e aumentato il volume dei Quantitative easing (acquisti sul mercato) di 120 miliardi di euro, acquisti che la BCE faceva e fa dei titoli pubblici per assicurarne sia il mercato (emissione e collocamento) sia il costo, contenendo lo spread tra i prestiti dei vari Paesi. Poi, il 18 marzo, è stata la volta del programma PEP, in base al quale la BCE si è disposta a sostenere l’acquisto sul mercato secondario di titoli pubblici per un volume di 750 miliardi. Quindi, sommando i due provvedimenti, finora abbiamo 870 miliardi di leve monetarie, cui si aggiunge ora il Recovery fund che dovrebbe essere di 750 miliardi. Così le munizioni ci sono, ma dipende da come si evolverà la situazione. Bisogna vedere fin dove arriviamo con l’emissione dei debiti per sostenere le politiche che stiamo facendo».
La reazione del Governo italiano
Il discorso ha poi riguardato l’analisi di quanto fatto dal Governo Italiano. «In una situazione come questa – ha evidenziato Coltorti – ci sono tre politiche da fare. Primo, salvare la vita delle persone. Secondo, fare in modo che le imprese non falliscano. Terzo, ancora più importante, far riprendere il sistema, e qui c’è il problema più grosso. Ma cosa ha fatto il Governo italiano? Riguardo alla politica sanitaria, resosi conto della gravità della pandemia, in quanto tutti pensavamo fosse più leggera, è corso ai ripari, scontando i ritardi (prevedibili) della burocrazia. Ed è stato difficile, perché il sistema sanitario italiano non è il migliore del mondo come sempre sostenuto. In generale, comunque, penso che l’errore più grosso sia stato quello di non aver previsto gli aiuti per le grandi imprese e le condizioni per accedervi».
Il debito pubblico italiano
Tra i numerosi altri spunti emersi, anche un riferimento alla sostenibilità del debito pubblico italiano. Rinetti ha infatti domandato a Coltorti se non sia all’orizzonte un “rischio Grecia per l’Italia”.
«No, il rischio Grecia non esiste. Un debito è sostenibile quando si hanno i mezzi per rimborsare le rate alla scadenza. Nell’ultima rilevazione pre Covid il debito pubblico italiano è pari al 135% del Pil. Ma gli Italiani hanno un patrimonio quattro vuole superiore. A rigore non dovremmo generare nei mercati finanziari più preoccupazione di quanto non sia logico fare. E poi non bisogna contare solo il debito dello Stato. Va ricordato, infatti, che la crisi del 2008 è nata per l’indebitamento delle famiglie, sostenuto da condotte ignobili di banche estere. Se quindi si considerano i debiti di Stato, famiglie e imprese, l’Italia avrebbe un debito totale pari al 303% del Pil, ma in quel caso non sarebbe più la prima, come nel caso del solo debito pubblico, ma in una situazione medio bassa. Più alti di noi ci sono infatti i Britannici (310%), gli Americani (318%), gli Olandesi (350%), i Francesi e i Giapponesi».
«Inoltre la nostra forza, a mio parere, sta nel fatto che apparteniamo all’eurozona. Un dissolvimento dell’Italia all’interno dell’eurozona farebbe dissolvere tutta l’eurozona, dato che non avrebbe più senso un’Europa senza l’Italia. Il dissolvimento dell’Euro fa molta più paura del default dell’Italia. Alla fine i mercati troveranno una convenienza a non mandarci “per aria” perché altrimenti non avrebbero la bella occasione di fare profitti. Questo, comunque, non vuol dire che non dobbiamo ristrutturare il debito, questione che però resta un grosso punto interrogativo del futuro. Noi, come molti altri Paesi, faremo molto debito, tanto da portarcelo dietro per molti anni».
«Per quanto riguarda, infine, le tempistiche, gli esperti di questo filone di studi affermano che nelle crisi passate, piccole e grandi, non sono mai passati meno di quattro anni per riprendere i livelli precedenti. Ci aspettano ancora, quindi, quattro anni di tenuta dei livelli impoveriti dal Covid prima di poterci permettere le cose che ci permettevamo qualche mese fa».