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"Così Aldo è morto senza il mio conforto"Astiteatro, quel che resta dell'omicidio Moro
Cultura e Spettacoli

"Così Aldo è morto senza il mio conforto"
Astiteatro, quel che resta dell'omicidio Moro

Se Astiteatro pare essersi votato a divenire un ampio contenitore di spettacoli perlopiù di repertorio e di momenti di ritrovo cittadino per tutti i gusti rinunciando alla vocazione del contemporaneo

Se Astiteatro pare essersi votato a divenire un ampio contenitore di spettacoli perlopiù di repertorio e di momenti di ritrovo cittadino per tutti i gusti rinunciando alla vocazione del contemporaneo di cui pure in passato il festival era stato avamposto in Italia, è possibile comunque rintracciare alcune operazioni legate alla dimensione del rischio e della ricerca sui linguaggi e sul presente. In questo senso la storia cadaverica d’Italia di Daniele Timpano– che va in scena da venerdì a domenica al Piccolo Teatro Giraudi – è una delle letture più scabrose, complesse e contraddittorie che il teatro abbia tentato negli ultimi anni.

Daniele Timpano, romano, classe 1974, è un attore-marionetta (nell’uso sapiente e disarticolato che sa fare del suo corpo) e al contempo drammaturgo e regista, una delle coscienze più appassionate e prolifiche tra i giovani artisti. Al suo Ecce Robot!, in cui tracciava un autoritratto (anche generazionale) attraverso i cartoni animati giapponesi, ha fatto seguire una serie di lavori che ne hanno decretato la statura. La storia cadaverica d’Italia (è il titolo libro uscito da Titivillus nel 2012) raccoglie tre spettacoli (Dux in scatola, Risorgimento Pop e Aldo Morto / Tragedia) centrati su altrettanti personaggi: Benito Mussolini, Giuseppe Mazzini e Aldo Moro.

Anche per la vicinanza temporale di fatti che ancora bruciano e che hanno segnato in maniera indelebile l’immaginario personale insieme a quello collettivo degli italiani dedichiamo qualche riga in più all’ultimo spettacolo della trilogia: Aldo Morto / Tragedia. Essendo nato negli anni ‘70, Timpano non può avere alcun ricordo dello statista democristiano sequestrato e poi ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Sceglie la strada più diretta, più sincera. In scena c’è lui, il suo corpo, pochi oggetti e brandelli di memoria feticcia, passata attraverso i media, i film, un blob di cultura pop, documenti storici, riflessioni. La Renault 4 rossa in cui quel 9 maggio il corpo di Moro fu ritrovato a Roma in via Caetani è diventata una macchinina.

Non c’è retorica, pietismo, commiato di Stato, rito rispettoso. Timpano si butta dentro una materia magmatica e consegna una prospettiva non ideologica, anche anagraficamente inedita rispetto ad altre riletture, non solo a teatro (per tutte Corpo di Stato, di e con Marco Baliani, 1998, produzione Casa degli Alfieri). L’operazione è senza rete per chi la fa e per chi assiste. E chi aveva un punto di vista, un ruolo, una posizione sarà comunque toccato. Timpano si prende a fine spettacolo in egual misura del comunista e dell’anticomunista, si prende le accuse di blasfemia della figlia primogenita di Moro, Maria Fida (che in una lettera sul Corriere della Sera gli scrive “Vergogna!”) e arriva a chiudersi per 54 giorni in una cella – gli stessi che lo statista passò nella “prigione del popolo”- condividendo quella sua auto-reclusione via streaming su internet, chattando con chi interagisce (www.aldomorto54.it).

Scrive: «Desolato, io non c’ero quando è morto Moro. Aldo è morto senza il mio conforto. Era il 9 maggio 1978. Non avevo ancora quattro anni. Quando Moro è morto, non me ne sono accorto. Ma dov’ero io quel 9 maggio? E cosa facevo? A che pensavo? E soprattutto a voi che ve ne importa? È una cosa importante cosa facevo e che pensavo io a tre anni e mezzo? Aldo è morto, poveraccio. Aldo Moro, lo statista. Che un certo Moro fosse morto l’ho scoperto alla televisione una decina di anni dopo, grazie a un film con Volontè. Un film con Aldo morto. Ci ho messo un po’ a capire fosse tratto da una storia vera. Oh, mio Dio! Hanno ammazzato Moro? E quando? E perché? E come? Lo hanno trovato nel bagagliaio di Renault 4 rossa, undici colpi sparati a bruciapelo addosso. Oh, mio Dio! Hanno ammazzato Aldo! Brutti bastardi. E vabbè, pazienza. Niente di importante. Cose che capitavano negli anni ‘70. Bisognava fare la rivoluzione. Chi? Brigate rosse. Era il 9 maggio del 1978. Non avevo ancora quattro anni. Brigate rosse, sì. Ma rosse in che senso?»

Da vedere.

Stefano Labate

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