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Massimo Cotto e Luciano Ligabue
Cultura e Spettacoli

Cotto: “Tra lockdown e mail è nato il libro che ho scritto con Ligabue”

Il conduttore radiofonico e critico musicale parla dell’autobiografia artistica del rocker emiliano, senza tralasciare un ricordo di Stefano D’Orazio

Massimo Cotto e il libro con Ligabue

Luciano Ligabue e Massimo Cotto insieme per il libro “E’ andata così. Trent’anni come si deve” (Mondadori). Per due settimane nella top ten dei libri più venduti, cosa non comune per un libro di musica.
Ne parliamo, appunto, con Massimo Cotto, conduttore radiofonico su Virgin Radio, autore, critico musicale, oltre che direttore artistico del festival Astimusica ed ex assessore alla Cultura del Comune di Asti.
Un libro diverso già nella sua stesura. Scritto in 35 giorni durante il lockdown. Come avete organizzato questa scrittura a quattro mani a distanza?
«Abbiamo avuto prima una serie di incontri. Uno al Cà di Pòm, dove c’è la famosa sala rossa dove Ligabue ha scritto quasi tutte le canzoni di “Buon compleanno Elvis”. E’ stato Ligabue a cercarmi e a dirmi che aveva voglia di raccontarsi. Sessant’anni per lui e trent’anni di carriera, sentiva che era venuto il tempo di scrivere. Io gli ho risposto: “Ci penso”. Lo scherzo è durato circa otto secondi. Il giorno dopo, fu lockdown».
«Decidiamo di andare avanti e ci organizziamo così: Ligabue mi mandava in ogni mail due file. Uno con il suo testo accompagnato da uno più informale in cui mi raccontava come erano andate le cose. Un’esperienza atipica, una sorta di febbre malarica che ci ha rapito nella scrittura per 35 giorni. Tra l’altro la prima settimana Ligabue si dimenticava regolarmente di mandarmi l’allegato. Ne abbiamo riso molto».
Quando si scrive un libro biografico è centrale il contatto diretto con il protagonista. Quanto è mancato questo?
«Molto. E’ mancata tutta quella dimensione fatta di incontri, di racconti e di lavoro insieme, in presenza. Ma abbiamo recuperato finito il lockdown. La prima cena a Reggio Emilia Luciano mi ha fatto incazzare (ride, ndr) perché ha raccontato tantissimi aneddoti che non aveva detto prima e quindi nel libro non erano stati inseriti».
«Ha detto bene Luciano: per quanto puoi raccontare e scrivere in modo accurato, nessun libro potrà mai riassumere un’intera esistenza, così densa di storie, incontri, risate. Asti non lo sa, ma il 4 novembre avremmo dovuto presentare il libro al Teatro Alfieri. Eravamo d’accordo di fare una presentazione a casa sua e una a casa mia. Vedremo se sarà possibile recuperarla quando la situazione sarà migliore».

La situazione del settore culturale

Parlando di teatro e di libri, uno dei settori più colpiti da questa situazione d’emergenza è proprio quello culturale. Da ex assessore e da uomo che vive e frequenta la cultura a trecentosessanta gradi, come si commentano le chiusure immediate dei teatri e gli ingressi contingentati senza una proporzione con le effettive capienze?
«Non voglio assolutamente dire che non si debbano prendere precauzioni, però mi sarei aspettato almeno un’uniformità di trattamento. La sensazione che mi è rimasta addosso è che si continua a non capire che il mondo della cultura non è qualcosa di astratto dove rifugiarti quando ne hai bisogno, genera lavoro e genera vita. Per i teatri poi la situazione è devastante».
Quanto è alto il rischio di non riapertura per alcuni teatri?
«E’ un mondo che si è fermato e che difficilmente ripartirà in alcuni casi. Per esempio, temo ci sarà sempre meno spazio per le piccole compagnie. Mi domando cosa sarà da maggio in poi, ne verremo fuori? Lo spero, ma la situazione è così incerta e confusa che non si può essere ottimisti ora. E’ sempre facile parlare, ma credo si sarebbero dovuti redigere piani strategici ed evitare assembramenti nei trasporti pubblici, invece di accanirsi con i teatri, luoghi che hanno fatto subito proprie le indicazioni per mettere il pubblico e gli addetti ai lavori in sicurezza».

Il ricordo di Stefano D’Orazio

Stefano D’Orazio, batterista e paroliere dei Pooh. Insieme avevate presentato il tuo libro “Rock Bazar”. Con i Pooh c’è un rapporto particolare. Al di là dell’artista che tutti conosciamo, che uomo era e che ricordi hai di lui?
«I Pooh insieme erano davvero funambolici e Stefano era la persona più tranquilla. Non l’ho mai sentito parlare male di qualcuno o alzare la voce: era una bella persona. Tranquillo, ma allo stesso tempo molto scherzoso, protagonista con Patty Pravo ai tempi del Piper di aneddoti molto divertenti. Ha sempre rinunciato alle cose facili quando non ne era convinto, ed è stato così anche quando ha deciso di lasciare la band».
«L’idea di morire solo è la cosa che più mi atterrisce e fa paura. E’ profondamente ingiusto. Figuriamoci per lui che è sempre stato cemento per tutti».

Alessia Conti

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