Ultime ore di acquisti tra i banchi della Fiera Carolingia di Asti che celebra San Secondo
Un mondo che va al contrario? E allora vada al contrario anche l’oggetto storicamente simbolo della Carolingia di Asti, l’ombrello di San Secondo. L’ombrello che si apre all’indietro, visto in tv e ideato da un ingegnere per non bagnarsi quando scende dall’auto nelle giornate di pioggia, è stato uno degli oggetti sicuramente più originali presentati dalla grande fiera di oggi.
Gli oggetti più diffusi, invece, quelli che si trovavano ad ogni angolo sono stati gli scovolini (e scovoloni) di ogni misura, spessore e colore e, come d’abitudine, i “taglia e pela tutto” dove a contendersi i favori delle cuoche casalinghe c’erano le mandoline singole contro le mandoline che tagliano quattro fette per volta. In andata e ritorno.
Le pulsioni salutiste erano soddisfatte da centrifughe manuali (una versione moderna di uno spremiagrumi) e dal panno pulisci tutto realizzato in fibra di bamboo. Spugne e panni magici hanno fatto capolino un po’ ovunque insieme agli intramontabili piumini telescopici per togliere le ragnatele a soffitti alti come cattedrali e colle super potenti.
Rivoluzione in “casa silicone” con l’aggiunta di stampi per forme di ogni dimensione e destino ma soprattutto profusione di coperchi: leggeri, impilabili, regolabili, facili da pulire, duraturi e ideali per non scottarsi le dita.
Presi d’assalto i banchi che proponevano l’abbigliamento firmato in stock e a prezzi abbordabili e i due banchi con sciarpe di seta.
Tenerezza per articoli un po’ desueti, come i fazzoletti da naso in stoffa e spazio alla magia con le fate e gli elfi del bosco. Fra le bancarelle ospiti, quelle della Versilia, reduci dal mercato di Forte dei Marmi, le pelletterie di Firenze e il banco di somministrazione alimentare proveniente dalla Sicilia che presentava la birra marca “Minchia”.
Così, al grido “Donne, uomini e gay, tutti clienti miei”, emerge uno degli ormai rari “bateurs” che presentava una paglietta di ferro in grado di pulire qualunque padella.
Daniela Peira