Un libro. Un quadro. Le parole si fanno immagine, con tratto ispirato dalla lettura. E’ questo il dialogo ideale che sottende la rassegna “Passepartout en hiver”, giunta alla 14esima edizione, che quest’anno si sta svolgendo on line a causa della pandemia.
Domenica scorsa la protagonista dell’incontro sulla pagina Facebook della Biblioteca Astense è stata la sofferenza degli ultimi in un dialogo tra parole e immagini. L’artista Viviana Gonella, realizzando una moderna “Pietà” in un collage di fotografie di guerra tenute precariamente insieme da strappi, ha restituito il senso del libro di Domenico Quirico – giornalista e inviato del quotidiano “La Stampa” – intitolato “Testimoni del nulla” ed edito da Laterza.
Il libro
Un libro sull’afasia della pietà del mondo di oggi, sull’incapacità di chi è testimone del male e lo racconta, di determinare un sentimento collettivo di pietà. La pietà che oggi non diventa atto.
In Siria dal 2011 ci sono stati 500mila morti e nessuno ha fatto nulla.
Questo è uno dei temi che il giornalista ha approfondito con la presidente della Biblioteca Roberta Bellesini, con l’introduzione di Mario Tanino in rappresentanza della CNA che organizza la rassegna in collaborazione con la Biblioteca.
L’indifferenza
«Io lavoro sul dolore – ha affermato Quirico – il mio mestiere è la sofferenza umana e mi chiedo perché, descrivendola, non riesco più a determinare una condivisione. Per passare all’azione, per fare qualcosa, occorre il passaggio intermedio di pietà. Se non ci riesco, ho fatto male il mio lavoro».
Parole potenti di chi non ha mai smesso di porre a sé stesso domande, anche le più scomode che, come in questo caso, mettono in dubbio anche il modo in cui, da testimone, racconta i fatti.
Con il male Quirico si confronta e si confronta anche con le ragioni per cui il male si compie: Dio, il colore della pelle, l’appartenenza a tribù diverse, le ragioni economiche, gli interessi…
«Pensando alla Siria, è come se Dio avesse detto al male: ecco, te la lascio».
I popoli martoriati dalla guerra
Ci sono persone che vivono quotidianamente immersi nella guerra, ci sono bambini nati e diventati grandi in guerra, ciò che hanno conosciuto è unicamente questo modo di stare al mondo, di sopravvivere.
Il giornalista ha sottolineato come le persone siano antropologicamente modificate dalla guerra. Per loro le cose che noi consideriamo quotidiane non esistono più. Si vive con l’attenzione al cecchino, non si va in certe zone e all’occorrenza si cammina a quattro zampe. «Alcuni bambini – ha sottolineato – hanno sviluppato i sensi come gli animali braccati».
Domenico Quirico ha detto che è stato il Ruanda a cambiargli la vita. Un paese dove ha testimoniato il rapporto fisico diretto dell’assassino con la vittima, dove per migliaia di volte si è ripetuto il gesto manuale di uccidere l’altro. Con questo meccanismo, e con un milione di morti, è appropriato usare la parola genocidio.
Il male detta le sue regole e popoli interi si sottomettono. Ed entrare in quel male è l’unico modo per raccontarlo.
Ma cosa accade al testimone quando torna da quei luoghi martoriati? Per Quirico il ritorno è il momento chiave del tradimento. «Io ritorno con i miei appunti – ha confidato – scrivo le mie righe e loro restano là. E per loro il male continua. Io non sono migliore, sono peggiore di come ero prima. Il male ti corrode e ti fa diverso».
I giornali spesso chiedono di raccontare storie di chi ce l’ha fatta, storie con un lieto fine, ma a Quirico non interessano gli “happy end”. «Io devo raccontare chi non ce l’ha fatta», ha concluso.