Compie cento anni il Circolo Mandolinistico Pietro Paniati, nato nel 1924 con il nome di Circolo Mandolinistico Astigiano su iniziativa di un gruppo di appassionati di strumenti a plettro, tra cui emergeva, appunto, il ventiduenne Pietro Paniati, che in seguito acquistò fama a livello internazionale.
Per celebrare questo importante anniversario la formazione si è esibita giovedì scorso all’Archivio di Stato, diretta da Fabio Poggi, che ricopre anche il ruolo di presidente, e Cristian Margaria.
Direttore Poggi, avete già in calendario altri appuntamenti?
Non ancora, ma abbiamo intenzione di organizzarli.
Quanti concerti avete tenuto quest’anno?
Due. Oltre che all’Archivio di Stato ci siamo esibiti lo scorso giugno nella chiesa di San Martino.
La formazione
Quanti componenti conta il Circolo Mandolinistico?
Attualmente siamo 18, di cui due diplomati (Amelia Saracco, primo mandolino, e Giorgio Vogliolo alla chitarra), mentre Carolina Raimondi sta studiando al Conservatorio. Gli altri sono allievi di Amelia Saracco oppure hanno portato avanti studi privatamente. Io insegno canto e per due stagioni ho fatto parte del Coro del Teatro Regio di Torino, mentre Cristian Malgaria è insegnante al liceo musicale Monti.
Quindi fanno parte della vostra formazione anche alcuni giovani…
Sì, e sono aumentati negli anni. In passato non erano nemmeno presenti, poi nel tempo ne abbiamo accolti diversi.
Come mai l’interesse verso il mandolino da parte delle giovani generazioni?
Per quanto ci riguarda è importante, in questo senso, il ruolo di Amelia Saracco, in quanto insegna al liceo musicale Monti, all’istituto Verdi ed è titolare di una scuola che segue il Metodo Suzuki per il mandolino, tanto che negli anni ha coinvolto spesso suoi allievi. Attualmente contiamo cinque giovani componenti a partire dai 15 anni.
Inoltre credo che il risveglio di interesse nei confronti di questo strumento dipenda anche dalla campagna a suo favore portata avanti da Renzo Arbore, tanto che anche nelle orchestre di musica leggera si dà più spazio a questi strumenti. Per lo stesso “effetto” compositori recenti hanno scritto brani per il mandolino.
Il percorso
Lei è direttore del 1986. Quando era arrivato aveva messo mano al materiale musicale della formazione. Di cosa si era occupato e con quale scopo?
Premesso che sono abituato per indole a fare ricerca, tanto che ho scritto un libro sulla storia della vita musicale astigiana intitolato “All’ombra dell’Alfieri”, avevo innanzitutto catalogato l’archivio dei brani del Circolo, che risaliva agli anni Venti, con spartiti stampati o scritti a mano dai direttori che si erano succeduti. Poi avevo ripreso e riscritto alcuni brani: la Mandolinistica degli anni Trenta, infatti, era composta da musicisti che suonavano diversi strumenti (sempre della famiglia dei mandolini, ma con dimensioni diverse) che poi non hanno più fatto parte della formazione. Quindi era necessario rivedere i brani perché non si poteva più contare sull’apporto di quegli strumenti.
In tutti questi anni qual è stato il periodo più bello del Circolo Mandolinistico e per quale motivo?
Penso che siano stati i primi anni in cui ero direttore e poi quelli tra il 2006 e il 2007. In quest’ultimo periodo avevo studiato direzione d’orchestra con il Maestro Raffele Napoli, con la possibilità di cominciare a dirigere in modo professionale. Con Napoli, poi, avevamo organizzato anche alcune masterclass che avevano coinvolto tutta la formazione, per cui il livello qualitativo si era elevato.
Quale, invece, il periodo più difficile?
Personalmente penso che risalga agli anni Novanta, quando si erano verificati alcuni dissidi interni al gruppo.
I concerti che ricorda con maggiore soddisfazione?
Mi vengono in mente le esibizioni al Battistero di San Pietro nel 2016, al Teatro Alfieri per l’Utea nel 2018 e a Mondovì nel 2021. Un ottimo ricordo, in tutti i casi, per la qualità dell’esecuzione, molto raffinata e calibrata.