Angelo Gaja, produttore di Barbaresco e tra le personalità più significative del mondo del vino a livello internazionale, ci ha inviato una riflessione in merito alla proposta di riassestamento e
Angelo Gaja, produttore di Barbaresco e tra le personalità più significative del mondo del vino a livello internazionale, ci ha inviato una riflessione in merito alla proposta di riassestamento e riduzione delle doc e docg dei vini del Piemonte elaborata dal "comitato spontaneo" che raccoglie alcune figure storiche della filiera piemontese. Altrove abbiamo raccolto altri autorevoli commenti sul caso da Michele Chiarlo, Annie B. Shapero, Raffaella Bologna, Bruna Ferro e Gianluca Morino. Qui di seguito pubblichiamo il contributo di Gaja. (r.n.p.)
La proposta intende suggerire il metodo di accorpamento delle Denominazione di Origine esistenti in Piemonte. La premessa metodologica recita: " è il marketing a dover dare l'indirizzo sul sistema delle Denominazione di Origine, nel senso che per il prodotto vino è primaria l'esigenza di venderlo". Il marketing debbono imparare a farlo individualmente ed a modo loro le cantine, non deve invece diventare il principio ispiratore del nuovo assetto che si vorrebbe dare al sistema Piemonte delle Denominazione di Origine Viene esposta una classificazione gerarchica/per gruppi delle attuali denominazioni. Dalla quale si fa derivare l'ammissione oppure l'esclusione all'ottenimento dei contributi previsti per la promozione del vino sui mercati esteri. L'esclusione colpirebbe molte denominazioni dell'astigiano, Monferrato Langhe&Roero. Non deve nascere il dubbio che i soggetti solitamente privilegiati vogliano mettere le mani sul malloppo del denaro pubblico destinato alla promozione del vino italiano, lasciando le briciole agli altri.
Il progetto privilegia le denominazioni che portano in etichetta il nome geografico (Monferrato, Asti, Piemonte?). Si tratta di una questione lungamente dibattuta in Italia: è più importante indicare in etichetta il nome geografico oppure il nome del vitigno? E' stata la Francia per prima a fare la scelta del nome geografico; mentre i Paesi vinicoli extra-europei optano per il nome del vitigno. Nella cultura italiana vengono spesso utilizzati tutti e due assieme, perché rinunciarvi? perché sminuire in etichetta l'evidenziazione dei nomi varietali Dolcetto, Barbera, Freisa, Grignolino in favore di nomi geografici (spesso meno noti) e non lasciare invece che continuino a camminare appaiati?
La scelta di esaltare in etichetta il nome geografico "Nizza" é meritevole ma non deve creare pregiudizio ai produttori che vorranno invece continuare ad utilizzare la denominazione storica e collaudata di Barbera d'Asti. La cura dimagrante suggerita ridurrebbe il numero delle D.O. piemontesi dalle attuali 66 alle futuribili 23. Una ecatombe. Con il rischio di trasformare in un caravanserraglio la nuova DOP "Piemonte" che ne deriverà: con oltre 40 diverse varietà d'uva, diversissimi gli usi, costumi, tradizioni e condizioni pedo-climatiche. Ma che DOP sarebbe mai? E se invece, quello dell'accorpamento forzoso delle Denominazione di Origine, fosse un falso problema? La frammentazione delle Denominazione di Origine piemontesi è frutto di una cultura che ci appartiene e delle nostre ambizioni (talvolta anche mal riposte). Occorre imparare a portare il peso della propria storia.
Le denominazioni, se riconosciute ed affermate, costituiscono una ricchezza. Ma possono rimanere anche solo a livello di potenziali opportunità, e sopravvivere in attesa di condizioni più favorevoli, di imprenditori capaci di metterle in luce e valorizzarle. L'Italia ne ha in abbondanza perché sono moltissime le diversità che caratterizzano il nostro Paese. E' proprio necessario eliminarne più della metà (il 65%) come vorrebbe la proposta avanzata dal "comitato spontaneo"? La Borgogna, nonostante l'uniformità pedo-climatica e varietale (Pinot nero e Chardonnay) non ha mai messo mano all'accorpamento delle oltre 150 Appellation d'Origine che possiede. E sì che molti riconoscono che siano troppe e difficili da fare entrare nella testa dei consumatori. Al loro numero elevato viene attribuita un'utile funzione: la larga maggioranza di esse copre pochi ettari di vigneto e viene rivendicata da un modesto numero di produttori, ma costituisce un eccellente riparo ai "vini di luogo", ai vini astigiani.
Angelo Gaja