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D'Angelo presentazione libro
Cultura e Spettacoli
Evento

«Gianfranco era allegro e mai malinconico»

Marina Baumgartner ha presentato venerdì scorso il libro dedicato all’artista e comico D’Angelo, mancato nel 2021, di cui è stata collaboratrice per 36 anni

Aneddoti, risate e momenti di commozione hanno caratterizzato, venerdì scorso presso il ristorante “Golden Truffle”, la presentazione del libro “Io lo conoscevo bene – Storia semiseria di Gianfranco D’Angelo eterno fanciullo”. Dedicato all’attore e comico scomparso nel 2021, è edito da Giraldi e scritto da Marina Baumgartner, che per trentasei anni è stata collaboratrice dell’artista.
«Romana, fiorentina d’adozione, vive a Milano», ha esordito l’attore astigiano Fabrizio Rizzolo nel ruolo di presentatore, parlando dell’autrice.
«E’ giornalista – ha continuato – docente, PR, viaggiatrice. Ama il cibo, gli abbracci e gli amici veri».
E di amici veri ce n’erano, venerdì sera. A cominciare dal padrone di casa, Sandrino Romanelli, che ha organizzato l’evento, per proseguire con Sergio Vastano, altro grande protagonista, con D’Angelo, del noto programma televisivo “Drive In”. E ancora Sandra Milo, intervenuta con un audio, fino a Roberta Bellesini, indiretta testimone di quegli anni grazie ai racconti del marito Giorgio Faletti. «Era bello il modo di lavorare dei comici di “Drive In” – ha raccontato Roberta Bellesini – la loro era una vita frenetica e Giorgio, parlando di quel periodo, lo definiva il più bello della sua vita».
Una presentazione dal ritmo incalzante, così come il famoso programma degli anni ’80. «Ogni gag – ricorda infatti Vastano – doveva durare al massimo tre minuti e spesso ci si regalava le battute».
È stato come guardare un mondo che non c’è più, fatto di riunioni di lavoro che si svolgevano di notte, prove, gavetta, intuizioni geniali come il mitico “Has, has Fidanken” inventato da Enrico Vaime. «Parole che suonano bene e che sono diventate un vero tormentone – ha sottolineato Marina Baumgartner – ma che non significano nulla».

Il racconto

“Io lo conoscevo bene”, con prefazione di Ezio Greggio, racconta di un bambino nato nel ’36 «figlio unico di un padre mancato quando aveva tre anni e mezzo, di una madre morta quando ne aveva quattro – dice l’autrice – affidato a una zia che morì quando Gianfranco aveva undici anni. Un ragazzino con traumi importanti che avrebbe potuto perdersi, ma che aveva una tale forza e un tale coraggio da diventare il grande artista che è stato».
Un uomo con gli occhi di fanciullo, che sapeva incantare con le parole e conquistare con l’ironia.
«A volte – sorride lei – camminava per strada puntando l’indice al cielo e in poco tempo si formava un codazzo di persone che guardava in alto». Faceva scherzi a tutti, soprattutto alle sarte dei teatri, dormiva poco, era generoso, a tratti solitario, aveva la passione per le tinture di capelli “fai da te” che cercava di applicare anche agli amici. E anche per le scarpe, soprattutto sneakers («Ne possedeva quasi più di Imelda Marcos»), per la cucina e il mare.
«Era quello di “buona la prima”, sempre – ha ricordato l’autrice – in scena aiutava i colleghi, era allegro, mai malinconico e le sue collere duravano pochissimo». Poi Sandrino Romanelli ha mostrata la giacca rossa di paillette che Gianfranco gli aveva donato. «E’ stata un’emozione conoscerlo» ha confidato. «Era un vero signore ed era diventato un grande amico».

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