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Sciarra Maurizio
Cultura e Spettacoli
Intervista

«Giovanni Pastrone cambiò la prospettiva dello spettatore»

Il regista Maurizio Sciarra parla dell’importanza rivestita dal noto regista astigiano dopo aver fatto tappa in città per presentare il suo docufilm “Il ritorno di Maciste”

«Giovanni Pastrone è stato in grado di cambiare il punto di vista dello spettatore al cinema».
Così il regista Maurizio Sciarra parla dell’importanza rivestita dal noto regista astigiano (1882 – 1959), dopo aver fatto tappa in città per presentare il suo docufilm “Il ritorno di Maciste”, in occasione dell’incontro organizzato dal Circolo Vertigo in Sala Pastrone.
Interpretato, tra gli altri, da Giuseppe Abbagnale e Steve della Casa, il film mette sotto i riflettori il personaggio di Maciste, 110 anni dopo la prima nazionale di “Cabiria” (1914), il film muto diretto da Pastrone di cui Maciste era protagonista.
Emblema del gigante buono, fu interpretato dal portuale genovese Bartolomeo Pagano, che vide la sua vita cambiare in seguito all’incontro con Pastrone. La sua storia viene ora fatta conoscere da Giuseppe Abbagnale. Infatti in questo film, che sfuma i confini tra realtà e finzione, il pretesto narrativo è una proiezione di “Cabiria” organizzata dal critico Steve Della Casa, al termine della quale Maciste esce dallo schermo e prende vita nel mondo reale, costretto a confrontarsi con un contesto – quello contemporaneo – che sembra averlo dimenticato.
Sciarra, il personaggio di Maciste ebbe molto successo all’epoca, tanto da dare origine ad un vero e proprio filone. Quali, secondo lei, i motivi del successo?
Il successo dipende dai tratti molto interessanti del personaggio, scritto da Gabriele D’Annunzio (che ne decise anche il nome), e dalla scelta di chi lo interpretò.
Maciste era il servo di un nobile romano, che viveva in segreto a Cartagine, e difese una bambina che doveva essere sacrificata agli dei (siamo nel III secolo a. C.). Ad interpretarlo Bartolomeo Pagano, che si rivelò molto adatto allo schermo e, soprattutto, suscitò subito quel sentimento di “salvatore dei deboli” che lo rese famoso. Pastrone ebbe quindi un intuito eccezionale dopo aver scelto un personaggio eccezionale.
Nella serie a cui diede vita, però, da personaggio secondario Maciste divenne protagonista. Ma, come emerge dal mio film, a quei tempi, come tale non poteva essere uno schiavo né di colore. Per cui dal secondo film si trasformò in un bianco di una classe sociale più elevata.
Come mai ha deciso di riportare Maciste in scena tramite Abbagnale?
Volevo ripercorrere la vita del personaggio mostrandolo in modo adeguato, senza puntare solo sulla narrazione. E’ emersa allora l’idea di “riportarlo in vita” per fargli fare il percorso inverso sulla sua carriera e identità.

Il tema scelto e l’importanza di Pastrone

Perché ha deciso di lavorare su questo soggetto?
Mi ha colpito l’anomalia rappresentata da uno scaricatore di porto che, grazie al fortunato incontro con Pastrone, diventò una star internazionale, in un periodo in cui il cinema stava nascendo e il divismo caratterizzava soprattutto le grandi attrici del cinema muto.
Il suo percorso è molto interessante e racconta la nascita del grande cinema italiano di quel periodo.
A questo proposito, secondo lei qual è stato il più grande apporto di Pastrone alla settima arte?
Pastrone non fu solo scrittore, sceneggiatore e regista, ma si distinse per invenzioni fondamentali come il carrello, che serviva a spostare la macchina da presa, e il cavalletto enorme utilizzato per i punti di vista dall’alto, all’epoca impossibili. Grazie a lui, quindi, cambiò il punto di vista dello spettatore – fino a quel momento abituato ad essere davanti ad una scena fissa, come a teatro, all’altezza degli occhi degli attori – e il cinema acquisì la terza dimensione.

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