Giuliana Sgrena ha appena terminato il suo intervento che ha aperto ufficialmente ledizione 2013 del Festival A sud di nessun nord nel cortile del Diavolo Rosso di piazza San Martino. Mentre
Giuliana Sgrena ha appena terminato il suo intervento che ha aperto ufficialmente ledizione 2013 del Festival A sud di nessun nord nel cortile del Diavolo Rosso di piazza San Martino. Mentre il numeroso pubblico intervenuto per ascoltare le parole della Sgrena si dirige verso i tavoli dellaperitivo, mi avvicino al podio che fa da palco e ne approfitto per scambiare quattro chiacchiere con la giornalista di origine piemontese. Lei si mostra disponibile a farsi intervistare da una testata piemontese come La Nuova Provincia poiché, mi dice accennando un sorriso, Sono nata in provincia di Verbania, nel profondo nord di questa regione anche se ormai vivo da circa trentanni a Roma. Intanto una signora si avvicina a noi offrendoci un calice di bollicine (Bevi un po, Giuliana, visto che hai parlato tanto) e così sorseggiando un po di spumante, anche se non siamo al tavolino di un bar come solitamente avviene con gli ospiti di Un caffè con, cerco di ricreare latmosfera rilassata che contraddistingue questa rubrica.
E la prima volta che incontro Giuliana Sgrena di persona e immediatamente scorgo nel suo sguardo, prima ancora che nelle sue parole, la grinta e la determinazione che lhanno certamente aiutata nel terribile mese passato da prigioniera in Iraq. Daltronde, grinta, determinazione ed attenzione ai dettagli sono caratteristiche essenziali ed imprescindibili per un buon giornalista che voglia svolgere il mestiere in maniera non superficiale. Personalmente credo di essere una giornalista ostinata e sai perché? Semplicemente perché difendo il mio modo di fare questo lavoro che credo sia lunico modo possibile. Ovvero andare a cercare le notizie e verificarle prima di scriverle. Tuttavia mi rendo conto che per difendere questo modo di fare giornalismo bisogna davvero essere ostinati e convinti e nel nostro Paese ciò non è affatto semplice. Tanto è vero che da quando sono andata in pensione dal Manifesto non riesco a trovare una collaborazione con nessun giornale italiano. Sì, insomma, sembra proprio che nessuno voglia farmi scrivere qui in Italia! Il nostro discorso approda così al mondo del giornalismo italiano, un panorama verso il quale Giuliana appunta non poche critiche.
Credo che al giornalismo italiano contemporaneo manchi soprattutto il coraggio e liniziativa. E senza coraggio, senza iniziativa viene a mancare la stessa voglia di fare informazione. Parole dure da parte della collega, avvicinatasi alla professione giornalistica quasi per caso nel corso degli anni universitari passati alla facoltà di Lingue e Letterature Straniere alla Statale di Milano. In effetti sono diventata giornalista per caso cominciando a scrivere su un giornalino del movimento studentesco del capoluogo lombardo. Poi pian piano ho continuato a scrivere senza però mai pensare di fare da grande la giornalista che è poi tuttavia risultata man mano la mia professione. Oggi posso dirti che lunica cosa che sono capace di fare è quella di raccontare il mondo e tentare di comprendere le dinamiche di fatti e avvenimenti di cui mi occupo. In fondo per Giuliana la professione giornalistica è anche, e soprattutto, sinonimo di passione. Una passione che lha portata lontana da casa, in senso letterale, per diventare reporter di guerra.
Ecco no, scusami, ma ti devo correggere. Io non mi considero reporter di guerra perché in tal modo sembrerebbe di fare della guerra il mio mestiere. Vedi, io mi sono sempre occupata di questioni internazionali per aspirazione personale visto che già avevo studiato Lingue allUniversità. Così ho finito per prendermi a cuore le vicende dei Paesi dellarea mediterranea anche da un punto di vista politico visto che a lungo ho militato in un partito. Facendo la giornalista ho quindi sempre approfondito la realtà di Paesi come Iraq o Afghanistan andando in prima persona in quei posti e ponendo particolare attenzione alle condizioni di vita delle donne. Purtroppo questi sono Paesi interessati da conflitti e dunque mi è toccato, e mi tocca ancora, raccontare pure la guerra che insanguina quei territori. Arriviamo dunque a parlare della sua significativa esperienza maturata sul campo, vivendo sulla propria pelle tutto ciò che accade in zone difficili e cariche di tensione. Come lIraq o lAfghanistan, per lappunto.
In Iraq sembra non essere cambiato nulla poiché si è sostituito un dittatore con un altro dittatore e credo sia questo oggi il problema più grande per il popolo iracheno. Infatti Saddam era un dittatore che privilegiava la componente sunnita e allinterno dei sunniti la sua tribù; adesso invece cè un primo ministro, Nuri Kàmil al-Màliki, che è sciita e dunque favorisce gli sciiti ed in particolar modo la sua componente tribale. Per questa ragione ti dico che purtroppo sostanzialmente non è cambiato niente. LAfghanistan poi è in una situazione disastrosa dal punto di vista sociale ed economico. Devi sapere che è uno dei tre Paesi più corrotti al mondo e attualmente cè una divisione del potere di tipo tribale arcaico dove continua ad aumentare la produzione della droga il cui commercio è in mano ai signori della guerra. Essi possono così mantenere le loro milizie e continuare a combattersi tra di loro sfruttando il Paese poiché ci sono grandi ricchezze che, ad esempio, si notano nelle speculazioni edilizie. Solo che i soldi non vengono usati né per favorire la popolazione né per migliorare le condizioni di vita della gente.
Come si ricorderà lesperienza in Iraq è stata segnata dal rapimento avvenuto nella zona universitaria di Bagdad il 4 febbraio 2005. Di quella vicenda, di cui tanto si è detto e scritto, Giuliana tra le svariate sensazioni provate mi confida di aver provato in maniera ricorrente il timore di perdere il rapporto con la realtà e di perdere la memoria. E non solo. Temevo di uscire di senno perché, anche se non subivo minacce, ero comunque in una condizione di prigionia vivendo ovviamente una situazione molto destabilizzante dal momento che non avevo contatti con lesterno, non sapevo mai che ora fosse Inoltre devo dirti che pensavo continuamente alla sofferenza che provocavo in parenti ed amici e nelle persone che mi vogliono bene. Chiudiamo la nostra intervista con un ricordo di Nicola Calipari, lagente dei Servizi Segreti Italiani, morto sulla Toyota Corolla sulla quale viaggiava con la Sgrena a seguito della liberazione avvenuta il 4 marzo 2005. Calipari ha fatto scudo con il suo corpo proteggendo la Sgrena dal fuoco americano di un posto di blocco.
Su questepisodio la giornalista si lascia andare ad un ricordo carico di emozione e, quasi sussurrando, mi dice: Io non potrò mai dimenticare Nicola Calipari perché è la persona che mi ha salvato due volte sia liberandomi dai miei rapitori che salvandomi quando gli americani hanno sparato contro la macchina su cui viaggiavamo. Sai, io non ho mai potuto essere contenta della mia liberazione e infatti ci tengo a dire che il 4 marzo non è il giorno della mia liberazione ma il giorno della morte di Calipari. Ogni anno quella notte non riesco a prendere sonno e dormire è unimpresa impossibile. Così alle prime luci dellalba di ogni 4 marzo mi reco sulla tomba di Nicola Calipari per stare un po lì con lui. Lo so, non è niente, ma è lunica cosa che mi sento di fare in occasione di questa drammatica ricorrenza.
Bartolo Gabbio