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Cultura e Spettacoli
Intervista

“Grazie alle mie canzoni sono un cantautore glocal”

Piero Montanaro, che ha recentemente pubblicato il brano “Lockdown-Andrà tutto bene”, si racconta tra ricordi e riflessioni sulla musica popolare

«Cantano / là sui balconi cantano / e nei cortili suonano / Vedrai che tutto bene andrà».
E’ il messaggio di speranza contenuto nel ritornello di “Lockdown – Andrà tutto bene”, l’ultimo brano firmato da Piero Montanaro, uscito lo scorso 2 marzo. Cantautore (in italiano e piemontese), paroliere, conduttore radiofonico e televisivo, produttore discografico, a poche settimane dal 75esimo compleanno continua a raccontare con la musica emozioni e sentimenti, oltre che l’amore sincero per la propria terra, le tradizioni e la cultura locale.
Come è cominciata la sua passione per la musica?
«Ho ereditato la passione per il canto da mio papà Vittorio. Dopo la Maturità magistrale ho debuttato in un gruppo musicale del mio paese, Coazzolo, chiamato inizialmente “The missioners” e successivamente “I Fenici”. Per poi fondarne uno mio, “Piero Montanaro e i Tibù”, che richiamava uno sketch della trasmissione televisiva “Alto gradimento”. Quindi, nel 1967, ho debuttato con uno dei complessi più importanti della zona, i “Jolly”, che aveva accompagnato Paolo Conte alla manifestazione “La Coppa del Jazz”. Tutti bravissimi musicisti, con cui ho cantato e animato le serate all’Eden di Alba per tre anni. A questo proposito posso sottolineare che, grazie alle sale da ballo, noi artisti facevamo la gavetta, anche perché, considerando le strumentazioni a disposizione, erano “tempi eroici”.
Intanto ho anche dato l’esame alla SIAE per diventare paroliere».
Quando la prima svolta?
«Nel 1969 e nel 1970 ho vinto due premi importanti come cantante: il concorso nazionale Enal e un riconoscimento collegato a Radio Montecarlo. Grazie a quest’ultimo, insieme agli altri finalisti (tra cui Ivano Fossati e Umberto Tozzi), sono entrato a far parte dell’LP realizzato per l’occasione dalla Fonit Cetra, etichetta ufficiale della Rai.
Nel 1973, invece, dovevo partecipare al Cantagiro, ma sono stato chiamato per il servizio militare…».

La carriera

Come ha portato avanti la carriera successivamente?
«Premesso che fino al 1987 sono stato insegnante alle scuole elementari e medie, la passione per la musica ha animato tutta la mia vita. Sono stato per due anni disc jockey (quello che attualmente è il dj resident) al mitico Dixie, quindi presentatore e responsabile artistico a Radio Asti, in compagnia, tra gli altri, di Giorgio Faletti e Massimo Cotto. Poi ho aperto uno studio di registrazione, dove ho lavorato anche per Paolo Conte e Giorgio Faletti, lasciando nel frattempo i gruppi musicali e cominciando a fare le serate da solista con le basi. Poi ho continuato come talent scout, autore e produttore discografico di altri artisti. E ancora, ho lasciato la radio per la televisione, optando inizialmente per Telestudio e passando successivamente a Telecupole, dove continuo a condurre alcuni programmi (come l’attuale “Saluti e salutissimi”, di cui ieri, lunedì, ho registrato la puntata numero 5.075). Poi ho fondato “I Cantavino Doc”, di cui faccio parte con mio figlio Daniele ed Eugenio Beltracchini, gruppo che ora si occupa solo più di attività discografica».
Una vita intrisa di musica popolare. Come nascono le sue canzoni?
«Le mie canzoni prendono spunto dalle tradizioni, ma sono prodotte con uno schema musicale attuale. Fin dall’inizio ho voluto svecchiare lo stile e il modo di scrivere tradizionale, nobilitando il genere. Quindi la mia è musica popolare nell’accezione in cui si intende che è cantata dal popolo. Per esempio, con brani quali “Canterò” e “Notte di collina” ho raccontato il territorio esprimendo concetti universali. Insomma, sono un cantautore glocal».
Quante ne ha scritte? E quanti album ha prodotto finora?
«Quasi 500, di cui la metà incise. Riguardo agli album, sono a quota 150».
Prima ha accennato al fatto di essere stato un talent scout. Tra le sue scoperte ci sono stati i Farinei dla Brigna…
«Sì, quel gruppo è stato una mia idea. Era il 1989. L’intenzione era quella di avvicinare le giovani generazioni alla canzone in piemontese, fino a quel momento appannaggio di artisti come Gipo Farassino. Non è stato facile inserirsi sul mercato, ma con brani quali “Tuti ciulu (meno mì)” e “La mia panda perde i toc” hanno avuto il loro periodo di gloria, arrivando ad essere i primi degli esclusi a Sanremo giovani nel 1993 con “Pompa la musica”».

L’Argentina e il cd per Papa Francesco

Le sue canzoni hanno fatto il giro del mondo, tanto che lei può essere considerato un ambasciatore della canzone popolare regionale…
«Sì, ho girato diversi Paesi. Ho cominciato nel 1985, andando in Gran Bretagna, e poi ho proseguito passando dalla Francia alla Svizzera, dall’Austria all’Argentina. Fino alla Bielorussia, dove nel 2019 ho rappresentato l’Italia al Festival internazionale della canzone religiosa insieme a “I Cantavino Doc”.
Ogni volta sono stato accolto con molto calore dalle comunità di piemontesi residenti in quei Paesi, che conoscevano le mie canzoni e non vedevano l’ora di poter cantare un ritornello sul palco con me. In Argentina, in particolare – dove i cittadini di origine piemontese sono molto numerosi e ben organizzati in un centinaio di associazioni culturali – sono stato insignito di due cittadinanze onorarie, a San Francisco e a General Cabrera, due città della provincia di Cordoba. Tanto che nel 2012, grazie all’amicizia con l’ex sindaco di San Francisco, poi entrato nello staff del Presidente della Repubblica, sono stato invitato a visitare la Casa Rosada a Buenos Aires. E pensare che quel giorno avrei potuto conoscere anche l’attuale Papa Bergoglio, allora cardinale, ma per un contrattempo non ho potuto incontrarlo».
A proposito del Papa, lei gli ha dedicato due canzoni…
«Sì. Ricordando quell’occasione mancata, dopo la sua elezione gli ho dedicato i brani “Vengo dalla fine del mondo” e “Rassa nostrana”, in cui ho rielaborato l’omonima poesia di Nino Costa (che il Pontefice ha peraltro citato in occasione della sua visita a Torino).
Successivamente ho anche pensato a come avrei realizzato un ideale concerto a lui dedicato. Così è nato il cd “Il mio concerto per Papa Francesco”, in cui ho cercato di raccontare la terra dei suoi avi (Monferrato e Langhe) attraverso le mie canzoni. Ebbene, pochi mesi dopo averglielo recapitato sono stato invitato all’udienza in piazza San Pietro insieme a vari gruppi di Argentini. In quei pochi minuti mi ha salutato e mi ha detto che conosceva le mie canzoni. Una profonda emozione».

Il successo di “Amici miei”

Le canzoni popolari, si sa, non scalano le classifiche. Ma la sua “Amici miei” ha avuto un successo che ha travalicato i confini nazionali…
«Sì, è una delle canzoni più cantate nel Nord Italia e presenta versioni in diversi dialetti regionali e in numerose lingue (dallo spagnolo al croato). E questo grazie alla sua facile cantabilità e alle parole molto coinvolgenti che si adattano a diverse situazioni, tanto che è proposta alle feste di paese ma anche in situazioni tristi, come lutti o funerali. Incisa da più di 300 artisti in Italia e all’estero, ormai è entrata a far parte della canzone popolare italiana.
Da ricordare che “Amici miei” è la versione in italiano di “Viva J’Amis”, che ho scritto nel 1986 con la musica del compositore Remigio Passarino. Una canzone che aveva ottenuto un grande riscontro di pubblico, ma all’interno dei confini regionali».
Questa considerazione mi offre lo spunto per l’ultima domanda. Quale il futuro della canzone in piemontese?
«In Piemonte a proporre canzoni in dialetto, come professionista del settore che si dedica solo alla musica, sono rimasto solo io. Il fatto è che si sta assottigliando la platea di coloro che capiscono e parlano il piemontese, e che quindi possono apprezzare questa tipologia di musica. In più, radio e televisioni locali non aiutano molto, tanto che i miei brani hanno più spazio in emittenti di altre regioni o di Paesi esteri. Ad esempio, recentemente sono stato invitato alla Rete Uno della Radio della Svizzera Italiana che mi ha concesso uno spazio molto ampio.
L’unico altro ambito in cui viene usato il piemontese è il teatro di stampo cabarettistico, dove il dialetto è una bandiera del folklore locale. Quindi con una profonda differenza rispetto a ciò che mi sono impegnato a fare in questi 50 anni: esprimere in piemontese poesia, concetti e sentimenti».

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