«Non vedo l’ora di essere ad Asti». Con queste parole cariche di entusiasmo il noto attore e comico Paolo Hendel parla dello spettacolo che lo vedrà protagonista stasera (mercoledì) sul palco del Teatro Alfieri.
Intitolato “Niente panico!”, ha debuttato lo scorso gennaio a Firenze. E’ un monologo, a firma sua e di Marco Vicari, durante fa i conti con una fase della vita in cui i motivi privati di ansia vanno a braccetto con un’epoca nella quale anche il meteo è causa continua di paure.
Come mai ha sentito la necessità di affrontare questo argomento?
Per dormire più leggero la notte. Ormai viviamo in un’epoca caratterizzata da avvenimenti talmente poco allegri che diventa una specie di bisogno fisiologico riuscire ad esorcizzarli, anche con una sana risata. I fatti negativi rimangono tali, purtroppo, ma ridendo si sta meglio. Fa bene alla salute, è come respirare una boccata d’aria buona. E io ho la fortuna di poterlo fare sera dopo sera in teatro, insieme al pubblico. Questo per me è veramente il massimo. Lo spettacolo è infatti scandito dalle mie visite ad un non precisato amico in ospedale, che informo dei fatti che accadono nel mondo, ogni volta occasione per un gioco comico.
Come è stato accolto finora?
E’ stato accolto bene. In particolare sono rimasto piacevolmente sorpreso e commosso di fronte alla reazione del pubblico quando, alla fine dello spettacolo, chiudo con una dedica a Sergio Staino, disegnatore satirico e vignettista che ci ha lasciati lo scorso ottobre. Un omaggio che finora ha richiamato una grande condivisione.
Qual è il suo ricordo di Staino?
Lo ricordo come il creatore del personaggio Bobo e come voce critica della sinistra, molto lucida e purtroppo poco ascoltata.
Inoltre mi piace sottolineare che il suo atteggiamento di fronte alla vita, anche verso i fatti negativi, è stato quello dell’ironia e dell’autoironia, atteggiamento su cui si basa questo spettacolo. Credo, infatti, che un antidoto efficace contro il panico e il pessimismo sia quello dell’ironia, che consiste nel ridere di sè stessi e delle cose che non piacciono, fanno arrabbiare o paura. E in questo trovare una sintonia con il pubblico è essenziale.
A quali paure accenna nello spettacolo?
Ad esempio il meteo. Mi ricordo quando, da ragazzo, leggevo le previsioni del tempo alla mia nonnina. Era un momento piacevole per stare insieme perché, a parte le eccezioni, si parlava di situazioni normali. Oggi invece il meteo fa paura. Basti pensare ai nomi che vengono coniati per i fenomeni metereologici: nei recenti inverni abbiamo avuto la “Sciabolata artica”, che tra l’altro fa più pensare a Goldrake che al meteo, mentre d’estate, a causa del fatto che l’anticiclone delle Azzorre ci snobba a causa del riscaldamento globale, arriva con tutta la sua potenza l’anticiclone africano con i suoi graziosi nomignoli, ideati per farci dormire tranquilli: Lucifero, Caronte, Nerone. Mi ricordo a questo proposito un titolo: “Vampata africana, l’anticiclone Caronte incendia l’Italia”.
Poi tocco anche paure più personali…
Quali?
In questi miei ultimi 70 anni sono morti un po’ troppi amici. E seguitano a farlo. E’ diventata una moda, ormai. Di fronte a tutto questo mi domando se un domani si potrà, con l’intelligenza artificiale, effettuare una brevissima telefonata con chi non c’è più, giusto per sapere “cosa c’è di là”. E pensate poi se un amico che è mancato risponde. Il dialogo potrebbe essere: “Ma non eri morto? Sì, ma con il 5G ormai si arriva dappertutto”.
Oppure potrebbe capitare che nell’aldilà si trovi un cartello che riporta un numero verde. Chiamandolo, si ascolta una voce registrata: “Pronto, sono San Pietro e rispondo dall’Albania. In cosa posso esserle utile?”.
La collaborazione con Dix e i progetti futuri
Come è stato lavorare con Gioele Dix?
Ho scritto questo spettacolo con Marco Vicari, autore televisivo che lavora con la Gialappa’s band, con cui ho una forte intesa. Ad un certo punto ci siamo detti che avevamo bisogno di un regista bravo e in sintonia con noi, condizione essenziale per un monologo in teatro. Dix era la figura giusta.
E’ il terzo spettacolo in cui sono diretto da lui: uno è stato “La giovinezza sopravvalutata”, sempre scritto con Marco Vicari, l’altro “Fuga da via Pigafetta”, spettacolo comico in dimensione teatrale, quasi da commedia, che interpreto con una bravissima e giovane attrice, Matilde Pietrangelo.
Tra i suoi progetti futuri c’è il teatro?
Il mio impegno maggiore è legato a questo spettacolo teatrale, anche se ci sono altri progetti in cantiere di cui non posso ancora parlare. Poi sarò protagonista di un recital estivo, snello, privo di scenografia.
Niente televisione a breve?
Ogni tanto la Gialappa’s Band, cui devo tutto, “richiama in servizio” il personaggio che interpretavo, Carcarlo Pravettoni, imprenditore cinico e baro. E’ successo anche due o tre mesi fa, quando si sono inventati che Pravettoni chiamava dal Paradiso (ma a questo proposito bisogna domandarsi come ci sia arrivato!).
Quindi c’è sempre la possibilità di un ritorno e dell’apertura di un nuovo capitolo, peraltro con mio immenso piacere.
“Mai dire gol”, con la Gialappa’s, è stata un’esperienza unica nella sua carriera…
Sicuramente sì. Guarda caso, chiunque di noi è finito nelle magiche mani della Gialappa’s alla fine funziona in televisione. Vuol dire che i suoi componenti hanno la straordinaria capacità di tirar fuori il meglio dagli artisti e di costruire un meccanismo televisivo perfetto.
La aspettiamo ad Asti, allora. Qualche ricordo legato a spettacoli passati?
Ricordo che negli anni Novanta, in occasione di una mia prima, avevo avuto il piacere di avere tra il pubblico Paolo Conte, grande arista ma anche grande persona con cui conversare. Timidamente lo invitai tramite amici; lui partecipò e mi salutò prima che salissi sul palco, con mio grande piacere.