“Su un treno che arriva dal passato il sogno di una bimba dai riccioli d’oro”
Piccole gocce argentate imperlavano i rami degli alberi scarni, il bianco della nebbia volteggiava come spire di fumo, al fondo della strada una sagoma opaca, come un fantasma, camminava veloce tra il freddo del mattino. 8,11. Entro tre minuti il treno avrebbe fatto capolino da dietro la curva ai piedi della collina facendo ingresso in stazione, maestoso nel suo fascino senza tempo, pronto ad accogliere chiunque lo attendesse, senza distinzioni alcune. Ancora tre minuti per respirare quel piccolo spazio che aveva dato vita al paese, 150 anni prima, e in parte rinato negli ultimi mesi grazie al treno tornato a correre sui binari che attraversano la valle. A tratti si affacciavano i suoi pensieri: l’autunno era stato faticoso, tra problemi e difficoltà vecchie e nuove, ed ora si avvicinava il Natale, con i suoi richiami di festa, speranza e rinascita. L’8 dicembre aveva fatto il presepe, un piccolo mondo che, sul mobile della cucina, si era animato delle vecchie statuine di casa, quelle della sua infanzia, tra pecorelle e bianche lucine ad illuminare la capanna con il bue e l’asinello e i volti adoranti di chi giungeva con doni e preghiere ad incontrare Gesù Bambino. In quel presepe ogni anno è riposta la speranza di tanti, cullati dal suo messaggio di pace e serenità.
Tra quei pensieri una voce alle sue spalle che pare giungere da un tempo lontano. Un ometto piccolo e curvo in divisa da ferroviere esce dall’edificio della stazione e richiama un giovane che porta un cesto sottobraccio; una giovane donna con un bambino al suo fianco esce dalla sala d’aspetto con i biglietti del treno in mano; un’anziana coppia percorre la banchina accanto al casello ferroviario che piccolo e curato, con il suo giardino silente tra il freddo dell’inverno, sorge nei pressi del passaggio a livello in mezzo al paese; un signore correndo si tiene il cappello e varca il cancello a lato del magazzino merci. E un profumo di vini aromatizzati e frutta sciroppata si spande nell’aria. Un grande edificio alle spalle della stazione ha i portoni spalancati su un enorme cortile in cui affaccendati vanno e vengono uomini che spingono casse di legno da caricare su grandi carri, mentre altri scaricano botti di varie misure da riporre nei magazzini che si aprono lungo il cortile. Lo sguardo si sposta e percorre la via: da una parte i campi addormentati sotto un velo di ghiaccio, dall’altra l’ufficio postale, il forno e il negozio del panettiere, più in là, sulla via principale, l’insegna di un albergo e l’osteria, con i vetri delle finestre annebbiati da uno strato di condensa.
La vivacità di un borgo di campagna operoso, tra uffici, negozi, case popolate di anziani e bambini, uomini e donne che si affrettano in stazione per raggiungere Asti, Torino o forse Genova, Milano, magari per trascorrere le feste con figli e parenti lontani. «Riceverò anch’io i regali a Natale?». Riccioli biondi sbucavano da sotto il berrettino rosa uguale alla sciarpa che la mamma aveva fatto a maglia per la sua bimba. «Certamente, riceverai i regali più belli!», non poté che rispondere la mamma, ricambiata da un luminoso e ripagato sorriso. Avevano con fatica messo da parte il denaro per quel regalo di Natale: al negozio di giocattoli sotto i portici, ad Asti, avrebbero acquistato una bambola di stoffa dalle lunghe trecce bionde e un vestitino a fiori. Gesù Bambino lo avrebbe portato la notte di Natale per la felicità di quella piccola bambina. Nulla importava se le scarpe della mamma erano sgualcite o se avevano dovuto rinunciare per parecchie settimane ad acquistare il bollito da mettere in tavola. Colori, odori, persone, gli edifici, le fogge degli abiti: tutto si mescolava in quegli istanti sul marciapiede della stazione, mentre un timido sole tentava di bucare la cortina di nebbia. Passato e presente si trovarono a confronto, tra gli sguardi confusi e incuriositi di coloro che in gran numero quel mattino attendevano l’arrivo del treno per Asti.
Uno accanto all’altro il portalettere che saliva sulla bicicletta per la consegna della posta in paese e la signora intenta a raschiare via il ghiaccio dal parabrezza dell’auto, parcheggiata nella notte di fronte al palazzo; la ragazzina che guardava “storie” sul suo smartphone e l’anziana signora che spingeva un carretto carico di bidoni in alluminio per la consegna giornaliera del latte. La vita di un tempo, il piccolo borgo animato di volti e mestieri, non semplicemente dormitorio di chi trascorre le sue giornate altrove, il chiacchiericcio discreto tra i compaesani si materializzarono in quegli istanti sotto gli occhi stupiti di chi poco prima ingannava il tempo tra messaggi vocali, musica infinita nelle cuffiette, sguardi impazienti all’orologio. Tutto appariva lento, armonioso, quasi avvolto in un manto di confidenza e serenità. Un nuovo senso di comunità sembrava irradiarsi tra quegli sguardi, la voglia di tornare a scambiarsi un saluto, di conoscere chi ci si trova accanto, di trascorre il tempo insieme, vivere esperienze comuni nell’ambiente che tutti condividevano. Il Natale sarebbe stato un buon momento per ricominciare.
8,14. Il treno entra in stazione. Quei volti comparsi dal nulla sfumano tra i raggi del sole e i passeggeri si appressano al binario per salire su un treno che ripartirà questa volta carico di nuova speranza.