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Lotta partigiana a CastelnuovoQuelle famiglie borghesi così antifasciste
Cultura e Spettacoli

Lotta partigiana a Castelnuovo
Quelle famiglie borghesi così antifasciste

A distanza di oltre settant’anni dalla Seconda Guerra Mondiale, le case dei nostri paesi e delle nostre campagne riescono ancora a nascondere segreti e curiosità che si rivelano solo grazie alle

A distanza di oltre settant’anni dalla Seconda Guerra Mondiale, le case dei nostri paesi e delle nostre campagne riescono ancora a nascondere segreti e curiosità che si rivelano solo grazie alle testimonianze (sempre più rare) dei protagonisti di azioni e condotte mai cancellate dal tempo. E questo dona ancor più significato alla Giornata della Memoria che fa emergere, ad esempio, la presenza di un comando partigiano a Pino d’Asti di cui ci sono pochissime tracce negli atti ufficiali della Resistenza nell’Alto Astigiano e rivela che i partigiani non trovavano ospitalità e coperture solo dai contadini, ma famiglie borghesi e benestanti antifasciste erano impegnate in prima linea.

Ed è proprio su questa linea che si dipanano i racconti del dottor Virgilio De Mattei, classe 1926 che, durante la guerra, si era trasferito a Castelnuovo Don Bosco con la sua famiglia, nella casa della nonna materna, un bellissimo palazzo sulla sommità del centro storico con ingresso dalla piazza della chiesa di Sant’Andrea. «Avevo 16 anni quando si formarono i primi gruppi partigiani e mio padre (il dottor Secondo De Mattei, medico n.d.r.) non solo accettò la mia decisione di farvi parte, ma mi incoraggiò». Secondo De Mattei, infatti, fu un antifascista della primissima ora, fin dalla salita al potere di Mussolini. Con lui un amico d’infanzia che l’intera Italia avrebbe conosciuto, quel Ferruccio Parri che diventò il primo presidente del Consiglio dopo la caduta del fascismo. Amici di famiglia che condividevano gli ideali di libertà e che, grazie alla loro posizione sociale e alle loro relazioni, avevano anche la possibilità di comprendere meglio della maggioranza degli italiani, cosa si stesse muovendo al di là della propaganda.

«Come i padri erano molto amici, anche io e il figlio di Ferruccio, Giorgio, eravamo molto uniti – ricorda ancora De Mattei – Ha passato in questa casa di Castelnuovo molto tempo a studiare. Il padre, che lo veniva spesso a trovare qui, preferiva tenerlo in un posto sicuro, in mano ad amici fidati come lo era la mia famiglia». Qualche chilometro più in là agiva un altro grande della Resistenza, Vittorio Gabetti, che divenne il primo sindaco per nomina di Castelnuovo Don Bosco e che aveva sposato una Musso originaria di una frazione del paese. Mentre il giovane partigiano De Mattei, della formazione Montana, insieme all’altro grande amico Ermanno “Manno” Savio, venne scelto dal comandante Alberti nel direttivo del comando partigiano costituito a Pino. «Partivo tutte le mattine in bicicletta da Castelnuovo e andavo a Pino – racconta – partecipavo alle riunioni e alla fine, visto che “tenevo in mano meglio la penna che il fucile” stilavo gli ordini che poi consegnavo alle varie bande anche se, considerata la mia giovanissima età, non è che mi considerassero molto».

Su e giù con la bici per le colline, De Mattei era diventato un segretario-staffetta del comando di Pino mentre nell’elegante palazzo di famiglia in più occasioni i tedeschi facevano base durante i rastrellamenti. «Era una casa bella, elegante, comoda, con personale di servizio a disposizione – racconta Elsa Bava, moglie di De Mattei e all’epoca una giovanissima fidanzatina che viveva da sfollata in una casa vicina – usavano le auto della famiglia, mangiavano, si facevano servire, dormivano nelle numerose camere ai piani superiori per un po’ di giorni e poi se ne andavano». Senza immaginare che si trovavano in una famiglia profondamente antifascista con una doppia parete in sala da pranzo: dietro un mobile c’era l’accesso segreto ad un’intercapedine che il padre di Virgilio aveva tenuto in funzione per nascondere, in caso di necessità, suo figlio o il figlio di Parri. E, in realtà, lì restò nascosto per un po’ di tempo anche l’amico “Manno”, ricercato dai tedeschi per le sue attività contro il regime.

Nei ricordi di De Mattei entra anche un altro nome importante, quello degli Artom, la notissima famiglia ebrea sfollata e nascosta a Moriondo Torinese, a pochissimi chilometri da Castelnuovo. «Per loro mio padre si spese molto – ricorda Virgilio – e feci più viaggi a Torino per procurare loro, con soldi e tipografi compiacenti, dei documenti falsi che coprissero le loro vere identità: li aiutammo così a fuggire». Quei giorni terribili vissuti con l’incoscienza della giovinezza e di quell’amore ai suoi primi passi, viene ricordato con grande dovizia di particolari dalla moglie, Elsa Bava. «Noi eravamo sfollati da Torino, mio padre aveva chiuso la sua azienda meccanica e aveva portato con sé le macchine utensili nella speranza di riaprire dopo la guerra. Erano depositate nel magazzino di un amico ma i tedeschi gliele requisirono perché sospettavano che servissero a costruire armi e bombe».

Sfiorarono anche l’arresto e la deportazione con i tedeschi nel rastrellamento del 3 marzo del 1944. «Virgilio e Manno, saputo dell’arrivo dei tedeschi, erano fuggiti saltando giù dalla finestra di una delle cascine in cui si nascondevano – ricorda la donna – io e la mia amica, che eravamo andate lì a portare viveri ai due, abbiamo accolto i tedeschi, cercando di non far trasparire la paura. Dopo un po’ di domande se ne sono andati e noi, spostando una sedia sotto il tavolo, abbiamo trovato appoggiato sopra un mitra che era stato dimenticato dai partigiani nella fuga. Se i tedeschi l’avessero scoperto, probabilmente non sarei qui a raccontare….». Stessa paura che provava suo zio che ha nascosto in una cascina poco fuori da Castelnuovo, il cognato che era un notaio ebreo ricercato.

De Mattei ha chiuso la sua giovanissima partecipazione alla guerra partigiana a Torino, durante l’insurrezione, al fianco di Vittorio Gabetti. «E lì ho rischiato di essere ucciso proprio il giorno della Liberazione – racconta- perché viaggiavo sul cassone scoperto di una camionetta, in corso Palermo e un cecchino ci sparò addosso dall’ultimo piano di un palazzo. Sentii il fischio della pallottola sfiorarmi, ma la buona stella mi assistette». Finita la guerra, De Mattei, che non aveva potuto frequentare il liceo ma aveva studiato a casa, diede l’esame di maturità e si iscrisse a Medicina, intraprendendo così la carriera di dottore, la stessa del padre. Oggi, in quello stesso palazzo, insieme al figlio e ai nipoti mantiene vivo il ricordo di quei giorni, sotto lo sguardo austero del padre Secondo restituito da un ritratto all’ingresso.

Daniela Peira

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