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Cultura e Spettacoli
Intervista

Massimo Cotto: «Volevo dare vita a persone su carta»

Il giornalista e conduttore radiofonico parla del suo primo romanzo, intitolato “Il re della memoria”, che presenterà sabato 12 novembre alla Biblioteca Astense

Rappresenta il suo esordio nel mondo della narrativa, dopo oltre 70 libri dedicati alla musica.
Parliamo de “Il re della memoria” (Gallucci), primo romanzo di Massimo Cotto. Astigiano, è conduttore a Virgin Radio, giornalista, scrittore, direttore artistico di numerosi festival (tra cui Astimusica), oltre che autore televisivo e teatrale.
Cotto presenterà il libro sabato 12 novembre alle 21 alla Biblioteca Astense, affiancato dalla moglie Chiara Buratti e da Alexander Macinante.
Per conoscere il nuovo progetto lo abbiamo intervistato mentre lavorava all’intervista fatta due giorni prima via internet a Bruce Springsteen, riguardo a cui tradisce l’emozione per aver dialogato con «l’artista che mi ha spinto a percorrere questa strada».
Cotto, “Il re della memoria” è il suo esordio nella narrativa…
Esattamente. Da sempre ho avvertito la necessità, dopo aver raccontato tante storie vere, di provare ad inventarne qualcuna. Finora ho scritto oltre 70 libri, soprattutto biografie, in campo musicale. In questo caso è tutto facile: raduno il materiale e aggiungo il mio punto di vista. Questa volta, invece, volevo dare vita a persone su carta che si muovevano, vivevano e interagivano. La cosa strana è che l’ho scritto 18 anni fa e non l’ho fatto leggere a nessuno. E’ poi successo che ho pubblicato un post di recensione (positiva) sul libro di una mia amica, Paola Farinetti, edito da Gallucci. Notandolo, la casa editrice mi ha contattato per chiedermi se avevo un libro da pubblicare, o se volevo scriverne uno, dato che era intenzionata ad inaugurare una collana di narrativa. E io ho commesso l’errore di ammettere che avevo nel cassetto un libro già pronto. Dalla casa editrice l’hanno voluto leggere e hanno deciso di pubblicarlo subito.
Perché dice “commesso l’errore”?
Non l’ho detto per falsa modestia, ma perché ho percorso una nuova strada. Scrivere di musica è un po’ la mia comfort zone, dentro la quale sono abbastanza a mio agio e tranquillo. Parlando di un romanzo, invece, entro in un altro territorio.
Quando si scrive di fiction – e lo sanno bene tutti coloro che compongono canzoni – molto arriva dall’inconscio, per cui bisogna razionalizzare un percorso che spesso è inspiegabile. Ad esempio, durante una presentazione a Genova mi hanno fatto notare che nel libro non ci sono riferimenti musicali, se non la dichiarata citazione di Jeff Buckley (un gatto nella storia si chiama Jeff) e l’omaggio a Freddie Mercury (grazie ad un personaggio che si chiama Queen). Io non ci avevo nemmeno pensato. Stesso risultato in occasione della presentazione a Milano, quando il mio amico Beppe Severgnini (giornalista del “Corriere della sera”) ha sottolineato che nel libro c’è tanto sesso. Non me ne sono accorto, anche perché non è comunque mai ostentato.
Ciò che è capitato a me è molto comune. Ho parlato con artisti che mi hanno confidato di aver imparato molto su se stessi dopo aver ascoltato le canzoni che avevano scritto, proprio perché si rendevano conto di come l’inconscio aveva lavorato.

La storia e il titolo

Quale storia racconta il libro?
E’ un noir, ma non ne ha i meccanismi. E’ infatti un noir psicologico o, come ha scritto un giornalista che l’ha recensito, un noir dello spirito, definizione che mi piace molto.
Al centro tre personaggi: Linda, Astrid e Ariel. Linda e Ariel, quando erano bambini, erano innamoratissimi e hanno vissuto insieme eventi drammatici. A distanza di tanti anni si ritrovano, ma lui è innamorato di una donna bellissima, Astrid, che considera il suo futuro. Quindi la prima trama è incentrata su questo triangolo: lui al centro, tra un amore che viene dal passato e uno del presente, riguardo a cui non sa cosa scegliere. Come si nota, è il capovolgimento di tutti i triangoli classici della letteratura o del cinema, dove ci sono sempre due uomini che si contendono una donna.
La seconda trama è data da quel senso di minaccia che garantisce gli infiniti colpi di scena del romanzo, e che credo gli diano ritmo. A rappresentarlo, un uomo che arriva dal passato e dice di essere il padre di Ariel. Peccato che Ariel l’avesse ammazzato vent’anni prima. A questo punto il lettore non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia fino allo scioglimento del mistero.
Come mai questo titolo?
Da piccola Linda era rimasta orfana di padre, evento tragico che l’aveva segnata, tanto che quel lutto rappresenta un incubo da cui non riesce a staccarsi. Allora la mamma, per farla stare bene, la porta in riva ad un fiume mostrandole il re della memoria, che in realtà è il tronco di un albero. Le dice quindi che, se gli affida un ricordo brutto, lui, in cambio, gliene darà uno bello. Da quel giorno, ogni volta che si è trovata in difficoltà, è sempre andata dal re della memoria per cercare di cancellare i ricordi brutti della vita.
Mi sembrava una bella metafora per tutti quanti noi che ci lasciamo condizionare troppo spesso dai fatti negativi che ci accadono, per cui sarebbe bello che esistesse qualcosa o qualcuno che ci aiutasse ad eliminarli.

Influenze e ispirazioni

Questo libro è legato ad un momento particolare della sua vita?
No, mi sono seduto alla scrivania e ho cominciato a scrivere senza sapere dove sarei andato a finire, come faccio ancora adesso. Per la prima metà del libro è come se i personaggi fossero arrivati a bussare alla mia porta e a dirmi quello che dovevano fare. Successivamente ho dovuto pensare a come far procedere le cose. Mi sono lasciato invadere dalla storia, per poi farla andare nel verso giusto.
Si è ispirato a qualche scrittore in particolare?
Non so chi mi abbia influenzato. Tra i libri fondamentali per me l’Apocalisse di San Giovanni, dalla scrittura meravigliosa; “Hotel New Hampshire” di John Irving, un libro che amo tantissimo e in cui mi sono riconosciuto in determinati passaggi, e poi ci sono le poesie, per la loro brevità. Penso anche che buona parte della letteratura americana sia raccolta nella prima pagina di “Fiesta mobile” di Hemingway e nell’ultima pagina de “Il grande Gatsby” di Fitzgerald.
Queste sono le letture che mi hanno nutrito e che, credo, abbiano formato in parte il mio stile, ma non so se abbiano avuto una influenza diretta in questo caso.

Le presentazioni e i progetti futuri

Quali riscontri ha avuto sul romanzo?
E’ uscito il 29 settembre ed è già stato ristampato. Mi piace anche ricordare che presenta uno strillo in copertina con una citazione di Ligabue su di me. Fa riferimento al fatto che mi nutro di storie ma, anche, che mangio tanto. Basti pensare che secondo Ligabue è molto più economico comprarmi un monolocale che invitarmi a cena. Battute a parte, ha funzionato molto perché è una frase curiosa.
E’ impegnato nelle presentazioni in questo periodo?
Sì, ho già fatto oltre dieci presentazioni, con persone molto diverse, e mi sono divertito. La prima a Firenze, con Piero Pelù che ha finto di offendersi perché il libro aveva lo strillo di Ligabue e ha fatto tutte le foto mostrando la copertina al contrario. Poi a Milano, con Beppe Severgnini, Gianluca Grignani, che ha raccontato tante cose incredibioli su di me, Filippo Galli, grande campione del Milan. Insomma, cerco di fare venire tante persone così parlo poco del libro (ride, ndr) e mi diverto di più.
Altri progetti?
Oltre ad essere conduttore a Virgin Radio del programma “Rock & Talk”, lo scorso 22 ottobre ho finito il tour del Decamerock con mia moglie e Mauro Ermanno Giovanardi. Un tour, da riprendere in primavera, che ha contato tante date. Poi continuo a presentare festival e prendere parte a spettacoli. Ad esempio, il 19 novembre presento il Premio Nilla Pizzi, il 20 il Premio Asti d’Appello e così via.
Insomma, spero di continuare a far muovere le parole: sul palco, in radio, nelle pagine di un libro o durante le interviste.

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