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Cultura e Spettacoli

«Mio padre, un uomo normale
che insegnò a combattere la mafia»

«Mio padre non era un eroe, come non erano eroi Falcone, Borsellino, Mattarella, Dalla Chiesa. A renderli tali è stato il loro senso del normale. Ma, in fondo, erano persone normali e in quanto tali

«Mio padre non era un eroe, come non erano eroi Falcone, Borsellino, Mattarella, Dalla Chiesa. A renderli tali è stato il loro senso del normale. Ma, in fondo, erano persone normali e in quanto tali hanno dimostrato che chiunque può affrontare la lotta alla mafia». A parlare di fronte ad una piazza San secondo con tutti i posti a sedere gremiti è Caterina Chinnici, magistrato, europarlamentare e figlia del giudice Rocco Chinnici ucciso il 29 luglio 1983 da un’autobomba piazzata dalla mafia di fronte alla sua abitazione palermitana.

Ospite del ciclo di incontri Asti Aperta, organizzato dalla boutique di ottica Good Look, è stata affiancata sul palco dall’avvocato astigiano Aldo Mirate, Michele Vietti avvocato civilista, già vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, e Alberto Bazzano, got al tribunale di Asti, che ha condotto l’incontro. Nelle prime file di sedie, fra le autorità cittadine, anche l’ex Procuratore della Repubblica Mario Bozzola, che aveva accolto e conosciuto la Chinnici quando, trent’anni fa, prese incarico ad Asti dopo il concorso in Magistratura. «Fu l’unica volta in cui ebbi modo di incontrare di persona Rocco Chinnici – ha ricordato Mirate nel suo intervento – e il mio sentimento fu di commozione nel vedere un uomo che, all’epoca, era già un grandissimo magistrato conosciuto per le sue straordinarie capacità, attraversare tutta l’Italia per accompagnare la figlia al primo giorno di lavoro della sua nuova carriera».

Il saluto della città, trent’anni dopo, è stato dato dal sindaco Fabrizio Brignolo che le ha consegnato anche il sigillo di Asti, simbolo delle libertà comunali e della lotta all’ingiustizia. Tutta la conversazione a quattro si è sviluppata sul ricordo di Rocco Chinnici. «Ci ho messo trent’anni per decidere di scrivere un libro sulla sua vita e poi mi sono bastati pochi mesi per darlo alle stampe – ha detto l’autrice – perché avevo maturato la necessità, anche a seguito dei miei tanti interventi nelle scuole, di far conoscere a tutti “l’altro volto” di Rocco Chinnici, quello familiare ed intimo del padre». Non a caso ricordando il bacio sulla fronte, lieve, che ogni mattino riceveva dal padre, da bambina fino alla sua età adulta, compresa la mattina in cui poi morì nell’esplosione dell’autobomba. «Quel bacio era un modo per dirci che, anche se era molto impegnato con il lavoro, noi eravamo presenti in ogni momento della sua vita».

Grazie anche ad un dettagliato ricordo di Michele Vietti, è emersa tutta la modernità e l’avanguardia del modo di agire di Chinnici: giudice inflessibile ma anche molto attento alle persone, sempre alla ricerca di un equilibrio fra il rispetto della legge e quello dell’umanità di chi si trovava di fronte; un investigatore molto capace che aveva avuto l’intuizione di vedere i singoli reati di mafia collegati da una regia ben più ampia e coordinata arrivando a richiedere l’istituzione di quello che qualche anno più tardi sarà chiamato “pool antimafia” con inquirenti specializzati in questo reato; un uomo che, fra i primi, aveva capito che la lotta alla mafia non può essere demandata esclusivamente alle forze dell’ordine e alla magistratura, ma è questione di tutti e serviva la mobilitazione delle coscienze per arrivare all’obiettivo comune.

Fu il primo magistrato ad andare a parlare di mafia nelle scuole, oltre trent’anni fa, in una terra che neppure lo utilizzava, il termine mafia. Un uomo che, da Pretore e direttore del carcere mandamentale con sezione femminile, si portava dietro la figlia più piccola e una compagna di scuola durante le visite per farle giocare con la bambina di una detenuta che viveva con lei in cella. Un uomo così non poteva essere tollerato dalla mafia, ma neppure da parte delle istituzioni. Caterina Chinnici ha parlato della solitudine che ha accompagnato la vita da magistrato di suo padre pur riconoscendo che, alla fine, la giustizia ha dato una risposta alla sua morte.

Daniela Peira

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