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Brutta o brutale, l’arte del cementoarmato e i suoi esempi astigiani
Cultura e Spettacoli

Brutta o brutale, l’arte del cemento
armato e i suoi esempi astigiani

Nella ex sala consiliare del Municipio si è tenuto un affollato convegno dedicato al “brutalismo”, una corrente architettonica databile fra gli Anni Cinquanta e gli Anni Settanta, che prese il

Nella ex sala consiliare del Municipio si è tenuto un affollato convegno dedicato al “brutalismo”, una corrente architettonica databile fra gli Anni Cinquanta e gli Anni Settanta, che prese il suo nome da una frase con cui il celebre architetto Le Corbusier affermò di aver realizzato molti suoi progetti in “beton brut”, ossia in cemento grezzo, per valorizzare al massimo la forma e tutti i componenti materiali della struttura. “Punto di riferimento dell’architettura del dopoguerra – ha spiegato l’arch. Fabrizio Aimar nella sua introduzione al convegno – divenne la “maison Jaoul” di Le Corbusier, ma grande ruolo assunse il cemento armato, che consentiva plasticità ed economicità. Questa tendenza all’essenzialità ebbe seguito in parecchi Paesi ed anche nell’Astigiano suscitò interesse, tanto che nel 1974 gli architetti astigiani Giulio Balbo, Paolo Ercole, Riccardo Pavese, Enrica Narbonne e Domenico Catrambone si recarono in Germania a vedere le opere di Gottfried Böhm, traendone molti stimoli.”

Il nuovo modo di costruire si diffuse in tutta Europa, in particolare nei paesi dell’Est e nell’URSS, ma anche sul territorio astigiano si possono trovare parecchi esempi, quali il palazzo della Provincia di Asti, la chiesa di San Defendente di Frinco, la chiesa parrocchiale di Don Bosco, il Municipio di Roccaverano, ecc. In considerazione di una diversa sensibilità maturata negli anni successivi verso il paesaggio e le costruzioni che in esso si devono inserire, ma soprattutto in relazione al recente inserimento di parte dell’Astigiano nel “patrimonio dell’umanità” UNESCO, ci si è chiesti come debbano essere oggi valutate queste opere, da molti giudicate in modo negativo.

Il prof. Valerio Di Battista (docente di Tecnologia dell’Architettura) ha ritenuto che debbano essere considerate come esempio di un periodo storico: “sono documenti, che possono piacere o no, ma che vanno conservati: altro discorso è per l’edilizia degli Anni Sessanta, che è pessima e varrebbe la pena demolire.” L’arch. Domenico Catrambone ha osservato che “le norme urbanistiche non tutelano adeguatamente il paesaggio, trascurando così una grande potenzialità di crescita.” Per il prof. Ottavio Coffano “si dovrebbe costruire secondo canoni prestabiliti e rispettosi del territorio”, mentre il prof. Marco Devecchi (presidente dell’Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l’Astigiano) ha auspicato, partendo dalla singolarità dell’esperienza progettuale astigiana, la costituzione di un “Centro studi sul Brutalismo italiano”, proposta che ha riscosso un generale apprezzamento.

Renato Romagnoli

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