Chierese, del 22, nato a inizio secolo, in quegli anni che hanno preceduto la seconda guerra mondiale che durò dal 1939 al 1945. Sorride, mentre con gli occhi ancora vispi, parla di sé: Domenico
Chierese, del 22, nato a inizio secolo, in quegli anni che hanno preceduto la seconda guerra mondiale che durò dal 1939 al 1945. Sorride, mentre con gli occhi ancora vispi, parla di sé: Domenico Torta, ha sul petto la sua Medaglia dOnore, appena consegnategli dal Prefetto di Asti, il 2 giugno. Sopravvissuto alleccidio di Cefalonia e ai lager nazisti, ha una storia difficile da raccontare, eppure non si tira indietro: appartenente alla Divisione Acqui, catturato dai tedeschi a Cefalonia nel settembre 1943, ferito da schegge di mortaio con 3 mesi di ricovero ad Atene, è deportato in Germania nel campo di concentramento 4B a Teuka dove rimane per due lunghi anni. Si è salvato da quellinferno e seppur siano passati 70 anni i ricordi sono ancora forti dentro di lui.
Domenico ride, quasi a voler sdrammatizzare, ma il tono è concitato, gli occhi luccicano: «A Cefalonia eravamo in 12.000 e siamo rimasti vivi in 3000 ne ho viste di tutti i colori, lho passata brutta- racconta il soldato Torta- alternando dialetto piemontese a italiano. Il lager – spiega – era pieno, eravamo tantissimi di tutte le razze, cerano pidocchi e cimici, stavamo tutti nei baracconi, io ero nel letto in alto, mi è andata bene perché i pidocchi scendevano in basso». Nel campo ha stretto amicizia con altre persone, confessa il nonno Torta, raccontando di averne viste morire tante, proprio tante. Lì era addetto al recupero delle pallottole dei bazuka: «Erano lunghe, delle bestie (e fa segni con la mano), io le prendevo, scavavo con la zappa». Poi racconta della fame: «Eravamo tutti magri, non si mangiava. Mi ricordo che ci avevano buttato delle bucce di patata per terra, due miei compagni le hanno messe in bocca io ho visto che diventavano neri in faccia e sono caduti a terra: cera il cianuro sulle bucce!»
Poi lo sguardo diventa serio, un attimo di silenzio: i ricordi fanno ancora male. Nonno Domenico ricomincia a sorridere, si mette anche a cantare Rose rosse per te, il suo buon carattere gli regala momenti sereni. Nonostante la pallottola nella caviglia sinistra è un campione di bocce: «Non me la faccio togliere perché poi zoppicherei!», aggiunge. La guerra non si dimentica: «Tutto brutto là, ricordi belli nemmeno uno!», mentre spiega di aver ricevuto delle bastonate per aver preso una patata: «Era oro per noi, sulla stufa, la facevamo cuocere». Il racconto prosegue: «Mi sono difeso da un cecchino che mi voleva ammazzare e là era così se volevi vivere».
Finita la guerra, la libertà finalmente: «Appena arrivato nel Brennero ho baciato la terra!» Oggi è ospite presso la Casa di Riposo San Giuseppe di Castelnuovo: «Qui mi trovo benissimo». Con 42 anni di lavoro sulle spalle in una fabbrica chierese di tessitura, è fiero della sua famiglia: «Ho tre figli: uno insegna e laltro è architetto, cè anche mia figlia che vive a Torino e sono nonno di due nipoti». Parlando dei giovani, lui, sopravvissuto, fa una riflessione: «Lè bruta sa, cè da sperare sempre che non arrivi più la guerra».