Cerca
Close this search box.
<img src="https://lanuovaprovincia.it/wp-content/uploads/elementor/thumbs/nove-romanzi-in-dieci-righe-cosi-inizianobri-romanzi-del-premio-asti-d39appello-56e691d4dd2d81-nkiim4n44aqfm2k2sspr74vfr70fxunv7bbpgnts3s.jpg" title="Nove romanzi in dieci righe, così iniziano
i romanzi del Premio Asti d'Appello" alt="Nove romanzi in dieci righe, così inizianoi romanzi del Premio Asti d'Appello" loading="lazy" />
Cultura e Spettacoli

Nove romanzi in dieci righe, così iniziano
i romanzi del Premio Asti d'Appello

Hans Tuzzi, Morte di un magnate americano (Skira)Chiamatemi come vi pare, il mio nome non ha nessuna importanza. Ciò che importa è che da alcuni mesi sono il segretario di una leggenda. Una leggenda

Hans Tuzzi, Morte di un magnate americano (Skira)
Chiamatemi come vi pare, il mio nome non ha nessuna importanza. Ciò che importa è che da alcuni mesi sono il segretario di una leggenda. Una leggenda che, ora, sta combattendo con la morte. Scrivo da una stanza della suite reale del Grande Albergo di Roma: sakitti, studio e otto camere da letto nelle quali si muovono una figlia, un genero, numerosi dottori e, in subordine, cameriere e camerieri. Fuori, il personale dell’albergo e regi carabinieri si danno il turno per tenere a bada membri del corpo diplomatico, giornalisti, antiquari, curiosi e più o meno improbabili personaggi in cerca di qualcosa che loro stessi non riescono bene a immaginare.

Luciana Capretti, Tevere (Marsilio)
Era una sagoma nel buio. Nera contro la schiuma bianca della corrente e le arcate del ponte. Atona nel fragore della piena. Un po’ china, a fissare l’acqua che le riempiva gli occhi e i pensieri in un abbandono assoluto. E la trasportava via da sé. Era alta con le gambe magre, nude, poggiate debolmente su scarpe con i tacchi che la rendevano più instabile. Indossava un giaccone di pelliccia finta che aveva dimenticato aperto, e sbatteva ribelle sul corpo rigido e sulla sottoveste chiara che le arrivava alle ginocchia e non la riparava affatto, sollevata con rabbia dal vento freddo che correva sotto i ponti in quel mezzo inverno uggioso.

Marco Polillo, Il convento sull’isola (Rizzoli)
Aveva sempre un po’ di timore quando passava davanti a quella finestra, il nervosismo lo prendeva appena imboccava lo stretto viottolo che conduceva verso il lago. Non era la paura di incontrare qualcuno, sapeva che a quell’ora la probabilità erano minime, e comunque lui aveva una giustificazione più che valida per essere lì, tuttavia… Alzò gli occhi al cielo, una foschia leggera era scesa sull’isola, rendendo ancora più cupe le basse nubi e più pungente l’umidità che entrava nelle ossa. Meglio, si disse, nessuno si sarebbe avventurato fuori in quel clima desolato. Superò una curva secca e s’immise sulla stradina che costeggiava il lago. Da quel punto per poco più di una ventina di metri si sarebbe trovato allo scoperto.

Claudio Paglieri, L’enigma di Leonardo (Piemme)
Marco Luciani spense la macchina, prese dal sedile le buste della spesa e i giornali, richiuse la portiera e aprì il cancello di casa. Si era svegliato imprevedibilmente presto, quella mattina, considerando che aveva passato buona parte della notte in bianco. E siccome di riaddormentarsi non c’era speranza, col caldo di luglio che già alle sette e mezza si faceva sentire, invece di restare a letto a rigirarsi per un’ora aveva deciso di scendere dal Boschetto al centro di Camogli per comprare qualcosa. Attraversò il giardino, aprì la portafinestra e trovò sua madre seduta al tavolo della cucina, che leggeva il giornale.
«Ciao mamma, tutto a posto?»
«Tutto a posto. Ti sei ricordato il latte?»
«Certo» disse Marco Luciani posando la spesa sul tavolo.
«E lo zucchero?»
«Bravissimo.»
«Tieni, ho preso anche il giornale, così leggi quello di oggi.»
«Ah bene. Il caffè è pronto, basta accenderlo. Intanto do un’occhiata ai necrologi.»

Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace (Ponte alle Grazie)
Ivo Brandani era perseguitato dal senso della catastrofe. La vedeva in ogni iniziativa di trasformazione della realtà, in ogni edificio (che può crollare), in un aereo in volo (che può precipitare), in un’automobile in corsa (che può sbandare), in una presa di corrente (che può andare in corto), in una pentola sui fornelli (rischio di incendio), in un bicchiere d’acqua (che può rovesciarsi), in un uovo fresco (che può rompersi): tutto ciò che sta in piedi può cadere, tutto ciò che funziona può smettere di farlo, questo era sicuro. Ma come si sarebbe potuta evitare, quella catastrofe? Era un evento molto lontano nel tempo, non avrebbe dovuto importargliene. Invece gliene importava.

Paolo Giordano, Il corpo umano (Mondadori)
Negli anni successivi alla missione, ognuno dei ragazzi s’impegnò a rendere la propria vita irriconoscibile, finché i ricordi di quell’altra, dell’esistenza di prima, non si macchiarono di una luce fasulla, artificiale, ed essi stessi non si convinsero che niente di quello che era accaduto fosse accaduto realmente, o per lo meno, non a loro. Anche il tenente Egitto ha fatto del suo meglio per dimenticare. Ha cambiato città, reggimento, lunghezza della barba e abitudini alimentari, ridefinito certi antichi conflitti privati e imparato a tralasciarne altri che non lo riguardavano – una differenza che non conosceva affatto, prima.

Paola Mastrocola, Non so niente di te (Einaudi)
Erano seduti al tavolino d’angolo della piccola caffetteria di Broad Street, in vetrina; lui con un giaccone grigio, il colorito pallido appena un poco arrossato dall’aria del mattino e i capelli candidi ancora folti; lei con un montone dai risvolti crema, gli occhiali cerchiati d’oro a metà del naso. Davanti  a loro, oltre lo spiazzo, l’imponente costruzione del Balliol College, col suo portone di legno scuro, i muri di pietra chiara, gli archi gotici e le torrette magre a cono che forano il cielo.
Lei stava dicendo a lui quanto il vento anomalo di quei primi giorni novembrini, ancora così tiepido, le intenerisse il cuore di nostalgia.

Michele Mari, Roderick Duddle (Mondadori)
«In verità…io…mi chiamo Michele Mari».
«Mi prendi per scemo? Affedidio che ti farò assaggiare il mio staffile, pendaglio da forca!»
«Ma davvero, io…»
«Silenzio, canaglia! Non è ancora nato il gaglioffo capace di menare per il naso il vecchio Salamoia, cosa ne dici Scummy?»
«Dico che è così, sacramento!», ringhiò l’uomo chiamato Scummy sputando un bolo di tabacco nel fosso.
«Allora moccioso, per l’ultima volta: qual è il tuo nome?»
«Ma ve l’ho detto, io…»
«Io, io! È meno di niente, io! Vedi lo sputo del mio compare? È un qualcosa più grande di te, capiscimi. E se adesso ci piscio sopra e lo spazzo via, bòn, anche il luccicume lasciato dal mio pisciazzo schifo è un qualcosa più grande di te, sei d’accordo?»

Antonio Pascale, Le attenuanti sentimentali (Einaudi)
Questo non è un romanzo ma un giro in bicicletta. Sottotitolo: riflessioni filosofiche quotidiane. Ma dài, ho sussurrato tra me e me durante una notte d’insonnia, che schifo di titolo è? Ci vuole qualcosa di semplice. Allora, nei giorni seguenti, ho sfogliato un intero almanacco poetico, da Giovanni Giudici a Sandro Penna, nel tentativo di trovare una frase, come dire, evocativa. Qualcosa che almeno chiarisse il mio stato psicologico. Niente. C’erano poesie straordinarie, questo va detto, ma il fatto è che…la brutale verità è che: amo tanto la poesia proprio perché non sono un poeta.

Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

Le principali notizie di Asti e provincia direttamente su WhatsApp. Iscriviti al canale gratuito de La Nuova Provincia cliccando sul seguente link

Scopri inoltre:

Edizione digitale