«Abbiamo un bisogno tremendo del merito. Invece a scuola viene promosso il 99% degli studenti e ci sono casi, come nella provincia autonoma di Bolzano, in cui si è cominciato a dire di non assegnare voti sotto il 4. Perché? Togliendo il 4, arriveremo ad eliminare anche l’8, cioè l’eccellenza, il merito».
E’ stata un’ora e un quarto densa di spunti di riflessione e provocazioni («accompagnati dall’ironia per addolcire temi a dir poco drammatici») quella che ha visto sul palco, venerdì scorso al Teatro Alfieri, il noto psichiatra, sociologo e scrittore Paolo Crepet. Intitolata “Prendetevi la luna” e organizzata dal Gruppo Anteprima, traeva spunto – e titolo – dal suo ultimo libro, pubblicato da Mondadori.
Come nella serata dello scorso maggio, sempre all’Alfieri, Crepet ha trattato principalmente il tema dell’educazione, spronando al contempo gli adulti a tornare a riappropriarsi di una vita che non sia dominata da social network e serie televisive.
La tecnologia
«Sul mercato – ha esordito – è da alcuni giorni in vendita a 3mila euro il visore della Apple. Ma è con quello – ha incalzato il pubblico – che volete vedere i vostri figli? Va bene che il nonno guardi la partita di bocce in questo modo o è meglio che vada alla bocciofila? Ve lo dico io. Se sta a casa il nonno rimbecillisce».
Per poi ricordare un episodio passato. «Quando, tanti anni fa, ero consulente della Regione Emilia-Romagna – ha continuato – mi parlarono di un progetto a favore delle persone anziane. Consisteva nel portare a domicilio, da parte di giovani dei servizi sociali, un litro di latte e la copia del quotidiano “Resto del Carlino”. Io ho espresso un giudizio negativo. Al contrario, bisogna fare in modo che gli anziani vadano in latteria, escano di casa, incontrino persone e socializzino. Questa è vita, il resto è una schifezza».
Il riferimento alla tecnologia si è poi ampliato al mondo della scuola. «Dieci giorni fa – ha raccontato – è uscita una ricerca attuata da una università norvegese per verificare come viene impegnato l’encefalo durante la scrittura. Ad un gruppo di bambini è stata detto di scrivere a mano, ad un altro gruppo di scrivere alla tastiera. Ebbene, è emerso che quando si scrive alla tastiera si utilizza circa 1/5 delle aree cerebrali che vengono attivate dalla scrittura manuale. Tra l’altro, ricordo a questo proposito che l’intelligenza artificiale si pone proprio in sostituzione dell’encefalo, perché ormai siamo stufi di pensare, lo riteniamo troppo difficile e complicato. Ma a forza di non pensare si diventa dementi a 18 anni».
La scuola
Dalla ricerca il discorso si è allargato al mondo della scuola. «Dalle aule – ha sottolineato – abbiamo tolto matite e gessetti colorati per fare posto a lavagne multimediali e registri elettronici. Io sono cresciuto quando nelle aule c’erano i banchi con il posto per inserire il barattolino dell’inchiostro. Oltre ai vantaggi dello scrivere a mano, l’utilizzo dell’inchiostro suscitava creatività e capacità di sopportazione dell’errore».
Il rapporto tra genitori e figli
I ricordi della scuola del passato hanno poi abbracciato anche il tema del rapporto tra genitori e figli. «Mio padre – ha evidenziato – non sapeva nemmeno dove si trovasse la scuola media né il liceo che frequentavo. Era intelligente. Sapeva che entrambi dovevano svolgere un lavoro: il mio era lo studio. Non mi seguiva nei compiti perché sapeva che ero in grado di farlo da solo. Ora, invece, grazie al registro elettronico i genitori sanno sempre tutto, persino i voti dei figli prima che tornino a casa».
Per poi proseguire il confronto. «Nonostante ciò sono cresciuto evitando strade sbagliate perché ho incontrato professori che, anche grazie ai brutti voti, mi hanno insegnato a non essere sbruffone, a non fare il furbo, e mi hanno fatto capire che grazie alla passione si fa meno fatica.
Invece ora si ritiene che i figli siano fragili e idioti. Basti pensare a quanto successo al liceo Berchet di Milano».
Il riferimento è al fatto che, nei mesi scorsi, oltre 60 studenti si sono «ammutinati perché oppressi dallo stress dello studio. Ma lo studio è sempre uguale, come ai miei tempi. Perché questa generazione non ce la fa?».
«Perché – ha affermato – i genitori si attivano subito per “salvarli”. In questo caso li hanno iscritti in altre scuole in cui la promozione era assicurata. Peccato che non si siano accorti che la psicopatologia di quei ragazzi fosse molto strana: cominciava alle 8.30 e spariva alle 13.30, tanto che in piazza, alla sera, sembravano sani».
La meritocrazia
Crepet ha poi preso spunto da un’altra notizia di cronaca per parlare dell’importanza della meritocrazia a scuola. «Nella provincia autonoma di Bolzano – ha spiegato – si è cominciato a dire che la scala di voti a scuola deve partire dal 4, sotto il quale non bisogna mai scendere. Perché? Cosa ha il 4 di male? Senza considerare che, abolendo il 4, si arriveranno ad eliminare anche l’8 e e i voti successivi, cioè quelli che decretano l’eccellenza, il merito. Ma noi abbiamo un bisogno tremendo di merito. Ricordo a questo proposito che il confronto con chi è migliore di noi non è una forma di svalutazione, ma è positivo: nella vita bisogna sempre cercare di assomigliare ai migliori tra sudore, fatica e battaglie perse».
Il riferimento alla provincia di Bolzano ha offerto lo spunto per parlare del campione di tennis Jannik Sinner, cresciuto nelle stesse zone.
«E’ come se noi gli dicessimo: ti vogliamo tanto bene, per cui per la finale degli Australian Open togliamo i punti. Giocherai contro il tuo sfidante come i raccattapalle, senza sapere chi ha vinto, evitando stress e sofferenze».
L’importanza dei voti
Per poi spronare i genitori presenti. «Come riportano le cronache – ha puntualizzato – c’è chi ha avuto il coraggio di andare a picchiare l’unico professore che assegnava ancora le note disciplinari. Però non ho visto genitori che si oppongono ai pusher. Come mai?
Solo perché diciamo che i bambini non sopportano i brutti voti. Ma in questo modo li si inganna, dando loro questo messaggio: nella vita andrete avanti lo stesso, anche se non sapete niente, perché tanto avrete l’eredità del nonno. Così facendo siamo arrivati al punto che, in Italia, un’azienda su tre muore al passaggio generazionale. Perché? Perché la ditta viene lasciata ad una generazione cresciuta senza punteggi, senza pagelle. Basti pensare che attualmente nelle scuole è promosso il 99% degli studenti. A questo punto – ha incalzato con una provocazione – facciamo il “salto di qualità” e arriviamo al 100% di promossi, stabilendo che è automatico al momento dell’iscrizione. O ancora, diciamo che la scuola non serve a più nulla, se non come luogo di aggregazione».
L’educazione
Crepet ha quindi citato altri due atteggiamenti controproducenti nei confronti dei bambini. «I figli – ha continuato – sono oggi considerati dei piccoli Buddha di fronte a cui bisogna inginocchiarsi. Ogni loro richiesta è subito tacitata per evitare lamentele. E poi i genitori li accompagnano a scuola, li aiutano nei compiti, fanno al posto loro lo zaino di scuola e il letto. Invece mia mamma mi obbligava ad andare a scuola da solo, nonostante i pericoli esistessero anche allora, facendomi crescere».
Ha poi ricordato come, ai tempi della sua infanzia, i bambini «non contavano nulla, altro atteggiamento che aiutava a crescere».
Spiegando il concetto con un aneddoto personale. «Quando con la famiglia partivo per le vacanze estive, appena salito in auto domandavo dove fossimo diretti. Mi mamma rispondeva: “Stai zitto e non vomitare”. Con questa risposta, molto intelligente, suscitava la mia curiosità. Imparavo infatti a guardare dal finestrino e ad osservare il paesaggio per capire se fossimo diretti in montagna o al mare».
Emozioni e amore
Dalla curiosità alle emozioni. «In nome del politicamente corretto – ha affermato – si stanno cambiando le favole, esempio di educazione emotiva. Prendiamo ad esempio Cappuccetto Rosso: il lupo non va bene, spaventa i bambini, deve essere sostituito con un labrador scodinzolante che lecca la nonna della protagonista. Sembra che i bambini si debbano annoiare, le emozioni debbano essere gettate».
Da qui il monito. «Stasera – ha affermato – ho indossato un maglione con la scritta “Love is the drug”, cioè “L’amore è la droga”. Io non so cosa siano le sostanze stupefacenti perché ho sempre amato. E per amore non si deve intendere solo quello per il partner, ma ad esempio verso un maestro o uno straordinario pittore. Dobbiamo scuoterci dalla noia, indicatore di cambiamento in amore, nel lavoro, nella vita. Funziona sempre così. Guai ad adattarsi. L’uomo lo fa, ma non è il migliore uomo possibile. Leonardo da Vinci non si era adattato e ci ha aiutato a capire cosa è l’uomo. “Homo, salute, vita” sono state le sue ultime parole. Credetegli».