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Cultura e Spettacoli
Intervista

Piero Cotto: «Vi racconto i miei festival di Sanremo»

In occasione dell’avvio della 73esima edizione della manifestazione, il cantante astigiano ricorda le esibizioni del ‘75 e dell’ ‘85, sottolineando i cambiamenti avvenuti negli anni

«Nel 1975 ho partecipato al festival di Sanremo con “Il telegramma”. Un brano che ancora oggi, quando lo canto, mi piace da morire».
A parlare è Piero Cotto, classe 1944, cantante astigiano che ha lavorato molto all’estero, noto soprattutto come voce jazz. Una lunga carriera che l’anno scorso, proprio in questo periodo, l’ha visto in televisione come concorrente, con la moglie Beatrice Pasquali, del talent show di Rai Uno “The Voice Senior”. Ma che l’ha portato anche due volte sul palco del Festival di Sanremo, di cui stasera (martedì) comincerà la 73esima edizione.
Piero Cotto, quando ha partecipato al Festival della canzone italiana per la prima volta?
Nel 1975. Avevo una casa discografica abbastanza potente, le Edizioni musicali Curci, che mi aveva proposto di partecipare al festival.
Lasciati i Cottonfields per partecipare alla manifestazione, mi sono esibito con una canzone che ancora oggi, quando la canto, mi piace da morire, ovvero “Il telegramma”. Era stata scritta da Pino Donaggio, grande artista diventato poi compositore “numero uno” negli Stati Uniti, e Vito Pallavicini, che aveva firmato “Azzurro” con Paolo Conte. Quell’anno, presentato da Mike Buongiorno, ero veramente entusiasta. Infatti, secondo i pronostici della stampa e degli addetti ai lavori, avrei dovuto vincere il festival.
Invece, alla fine, si sono classificati sul podio, nell’ordine, Gilda (prima), Angela Luce e Rosanna Fratello.
Quell’edizione si era svolta al Casinò della città ligure…
Sì, fino al 1976 la manifestazione si è svolta nel teatro del casinò, dopodiché è stata spostata al teatro Ariston.
Il casinò, peraltro, era un luogo che conoscevo molto bene, perché avevo lavorato nel night club interno dal 1966 al 1970.
Quando ha partecipato al festival per la seconda volta?
Nel 1985, presentato dal mio amico Claudio Lippi, periodo in cui ci si poteva presentare accompagnati dalle basi musicali.
Quell’anno ho proposto la canzone “Dammi una chance”, scritta da un autore eccezionale quale Morris Albert, che aveva firmato la nota “Feelings”.
Ricordo che quell’anno si è verificata quella che io definisco la “farsa degli emergenti”. Ovvero, chi non era sufficientemente popolare come me si esibiva nell’ambito di una sezione del festival che si svolgeva ancora nel teatro del Casinò.
Se fossi stato promosso nella categoria dei big, avrei dovuto cantare un altro brano, ovvero “Mezzosangue latino” di Simon Luca.

La carriera all’estero

Tra le due esibizioni a Sanremo cosa ha fatto?
Ho partecipato cinque volte al Disco per l’estate e ad altre manifestazioni, come il festival di Venezia. E, soprattutto, ho lavorato molto all’estero.
Dal 1966 al 2001, infatti, sono stato rappresentante di una fondazione legata all’Unesco, per cui tutti gli anni ho partecipato a tre/quattro festival nel mondo, tramite cui l’Unesco ricavava i fondi per finanziare i suoi progetti.
In questo ambito, nel 1977, ho vinto il festival di Puertorico, cantando in coppia con Augusto Martelli.
Poi, sono arrivato secondo (1980) e primo (1990) al festival di Viña del Mar, in Cile, il primo festival più longevo al mondo dopo Sanremo.
Insomma, sono stati anni in cui, insieme a Beatrice, che ho sposato nel 1981, ho girato il mondo. Insieme abbiamo fatto tappa in 52 Stati – tra Europa, America del Nord e del Sud – vincendo 17 premi, cui si devono aggiungere i riconoscimenti acquisiti separatamente.
Una programmazione diminuita, per motivi di sicurezza, a partire dal 2001, quando si è verificato l’attacco alla Torri gemelle di New York.

Il cambiamento del festival negli anni

Tornando al festival di Sanremo, secondo lei come è cambiato negli anni?
Oltre al periodo di apertura alle basi musicali, ritengo che la trasformazione principale sia stata l’avvento del digitale. Quando c’era l’analogico il rapporto con la musica era più serio. Ora l’auto-tune, che è un correttore di intonazione, ha aperto la strada a chi è bravo al computer, soprattutto i giovani.
Giovani che, pur essendo validi, hanno secondo me la tendenza a cercare l’originalità nella difficoltà musicale e melodica. Sembra quasi che una canzone oggi debba seguire a tutti i costi un percorso melodico diverso da quello classico, con il rischio di incappare in frasi musicali un po’ strane.
Come mai ci sono canzoni che si piazzano bene a Sanremo, ma poi vengono presto dimenticate?
La stessa domanda l’ho fatta ad un addetto ai lavori. La canzone, per avere successo negli anni, deve toccare corde di sensazione e sentimento. Però, poi, l’artista che la canta deve dimostrare di essere sufficientemente bravo per continuare.
Secondo lei a cosa si devono gli elevati picchi di ascolti attuali?
Penso che il merito debba andare ai giovani cantanti, che hanno saputo rinnovare il festival, e alla popolarità dei presentatori.

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