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Cultura e Spettacoli

Quelle morti sospette alla casa editrice
Prima fatica di Filippo Avigo

Bologna, città solare e dal grande fermento culturale, ospita nel romanzo di Filippo Avigo una storia cruda e cinica non tanto perché la vicenda si dipana intorno a due omicidi ma quanto piuttosto

Bologna, città solare e dal grande fermento culturale, ospita nel romanzo di Filippo Avigo una storia cruda e cinica non tanto perché la vicenda si dipana intorno a due omicidi ma quanto piuttosto perché vengono svelati i retroscena poco lusinghieri e nobili dell'industria editoriale e di una società che sembra aver perso la rotta. Un mondo dove i libri e la cultura sono considerati una mera merce di scambio e dove il profitto, il più alto possibile, è il fine ultimo di ogni pubblicazione. Anche chi dovrebbe recensire con gusto critico le nuove opere che fanno capolino sulla scena nazionale si piega spesso a queste logiche di mercato come lo stesso protagonista, Alberto Costanzi. Costanzi è un giornalista che dopo il divorzio lascia Milano per andare a lavorare in un giornale di provincia, dove si occupa delle pagine culturali. Un'attività che sembra però annoiarlo, ormai stanco del teatrino che periodicamente è costretto a subire in occasione di ogni presentazione. Le opere che recensisce sono insignificanti, quasi quanto l'essenza degli stessi autori e in questa occasione, il libro di Ascari non sembra fare eccezione.

E' un romanzo che si presta ad essere un nuovo best-seller, non tanto per l'originalità della trama, lo straordinario talento narrativo o per i concetti rivoluzionari in esso contenuti ma piuttosto perché rispetta le regole del gioco, ossia i gusti delle grandi masse. Si celebra quindi la banalità perché la banalità vende e un tipo di letteratura, forse più impegnato rischierebbe di non essere apprezzato. Ecco quindi che quando si fa la conoscenza di Paolo Pasquali direttore della libreria "Nuova" di Bologna in cui avviene la presentazione, l'analisi di Alberto è spietata. Guardandosi intorno si rende conto di non trovarsi in un tempio della cultura ma nell'ennesima rivendita di libri su larga scala: «Non è che già non si facesse, di organizzare le librerie come rivendite di alimentari ma l'unico capace di trattare i libri come mortadelle è lui. Sceglie i fornitori giusti, espone la merce, la fa assaggiare, la propone sottocosto quando è vicina alla scadenza. Vende più degli altri, fa soldi a palate».

I libri dunque trattati alla stregua di mortadelle, valutati come prodotti commerciali qualsiasi, l'importante alla fine è quanto si incassa. Considerazioni ciniche per un giornalista che in fin dei conti ricalca il ruolo che il sistema gli ha assegnato. Accondiscendente verso il nuovo talento, è disposto a scrivere una recensione favorevole. Qualcosa però va storto, perché l'indomani mattina Alberto e l'amica giornalista Gisella scoprono che Ascari è morto, o meglio che è stato ucciso. Soffocato da centinaia di pagine tratte dai grandi capolavori mondiali. Un omicidio brutale e grottesco, una sorta di "legge del contrappasso" per colui che non ha certo scritto opere di una bellezza immortale ma che in fin dei conti, con i gusti standardizzati del pubblico, si è arricchito. Alberto e Gisella fanno quindi la conoscenza del commissario Lugaresi, un personaggio da operetta per un'inchiesta che sembra una commedia. Lugaresi non riconosce le pagine tratte da Proust e Dostoevskij.

E' arrogante e superficiale e arriva a considerare il grande scrittore russo come un potenziale sospetto da inserire nella sua lista o almeno prima che un valente collaboratore non gli spiega che quest'ultimo è già morto da più di un secolo. In Questura sono poi convocate anche due accanite lettrici di Ascari, Stefania e Giulia, entrambe con la vittima la sera prima del ritrovamento e tra le ultime ad averlo visto vivo. Due bolognesi prorompenti e disinibite che non sembrano nutrire altri interessi culturali oltre alle pagine del loro idolo, ora reso ancora più sublime per la prematura scomparsa. Alberto come sempre ci offre le sue considerazioni, amare e desolate, ai margini della vicenda e nei confronti di una società che sembra aver perso il tempo da dedicare all'opera di valore e che si accontenta di leggere tutto ciò che è riassunto i 150 caratteri: «Comunque, in fin dei conti, quanti sono, oggi, quelli che leggono qualcosa in più di un quotidiano, di un settimanale o di un romanzo da spiaggia, giallo o rosa non importa? A parte gli sms e le chat su Internet, si intende».

Il romanzo di Avigo è quindi una vibrante critica al sistema culturale moderno, alle sue logiche perverse di profitto. Un sistema che però non è astratto e intangibile ma che è fatto di uomini e donne, in carne ed ossa che non sembrano minimamente interessati a modificarne le regole. In tutto questo resta però l'intrigo del giallo, la volontà del lettore di scoprire chi, tra i curiosi personaggi che a rotazione si introducono nella vicenda possa essere il colpevole. Perché in fondo ciascuno di loro è un antieroe. Non c'è separazione tra bene e male e neppure tra moralità e immoralità. Ciascuno agisce per il proprio tornaconto e tutti alla fine appaiono soli, abbandonati a loro stessi in una Bologna di inizio giugno tanto accogliente quanto estranea. «Bologna è una città sorprendente, calorosa nell'accogliere il nuovo arrivato ? spiega Filippo Avigo, come il suo personaggio "emigrato" nella città emiliana ? ma allo stesso tempo sa essere chiusa in modo ermetico. C'è sempre l'occasione per farti notare che sei l'intruso, quello che "viene da"».

Lo stesso è per Alberto ma per lui si aggiunge l'incapacità, o l'impossibilità, di volersi inserire realmente nel contesto in cui vive. Non sembra intenzionato a cambiare la sua vita, anche se ormai ne risulta saturo. Ed è soprattutto con le donne che la personalità di Alberto si eclissa: «Ho risposto che possiamo incontrarci per le otto e mezza da Celestini, il locale più frequentato della cosiddetta Bologna bene. In assoluto il luogo della città che più detesto. La mia essenza di mollusco ha avuto la meglio, ancora». Eppure questo personaggio, all'apparenza senza spina dorsale, saprà dare un contributo inaspettato alle indagini, aiutando a risolvere il mistero. «Alberto è sicuramente il prototipo dell'"italiano medio" ? considera Avigo ? in generale si lamenta per quello che avviene nel suo paese e nello specifico per le dinamiche del sistema in cui opera, quello dell'editoria. Ma come tanti, alla fine, non fa nulla per cambiare le cose». Un osservatore passivo dunque, che giudica e critica quanto avviene intorno a lui.

Sullo sfondo un'Italia che nel frattempo cola a picco: «Sventolano bandiere e sorrisi, intonano canti, applaudono i candidati che hanno contribuito a eleggere. Come se avessero dimenticato che la politica è fatta di sangue e merda. Nonché di viagra e corruzione. Sembrano tutti così felici. Forse è soltanto un segnale, ci vorrà tempo per cambiare davvero. Ma dopo anni di bava alla bocca, di occhi iniettati di sangue, l'effetto è curioso. E' tutto così buffo ed entusiasmante da sembrare irreale». Una società sempre più povera dunque, culturalmente parlando: «Le storie vere sì che ci interessano. Le utopie, i sogni quelli no. Al massimo possiamo trovargli un senso se sono un minimo pervasi della concretezza del successo, del denaro. E non interessa la condizione umana nel suo complesso. Meglio che rimanga anche lei a sonnecchiare, ben nascosta e protetta dalle nostre fantasie di concretezza». Un giallo insolito e irriverente, che oltre alla suspense e ai colpi di scena regala al lettore spunti di riflessione. Su se stesso e il mondo che lo circonda.

Lucia Pignari

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