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Riprendiamoci le “nostre” balene fossili
Cultura e Spettacoli

Riprendiamoci le “nostre” balene fossili

C'è un vero e proprio tesoro paleontologico che aspetta solo di essere messo insieme ed esposto per trasformare Asti in un centro mondiale per raccolta e studio dei cetacei fossili. Stiamo

C'è un vero e proprio tesoro paleontologico che aspetta solo di essere messo insieme ed esposto per trasformare Asti in un centro mondiale per raccolta e studio dei cetacei fossili. Stiamo parlando dei tanti esemplari di balene e delfini che le colline astigiane hanno gelosamente custodito per milioni di anni e che, a partire dalla metà dell'Ottocento sono affiorati, per eventi del tutto causali, e hanno trasformato il Basso Monferrato in uno dei tre centri di studio dei cetacei fossili esistenti al mondo, insieme alla Toscana e al North Carolina.

Un assaggio di questo straordinario patrimonio lo si può già trovare al Museo Paleontologico gestito dall'Ente Parchi Astigiani nell'ala est dell'ex Michelerio. Inaugurato a settembre, offre in mostra nella sua integrità il fossile della viglianottera, la balena ritrovata a metà degli Anni Cinquanta in Valmontasca a Vigliano. Insieme alla viglianottera c'è il cranio di Tersilla, la balena di San Marzanotto e una parte di quella rinvenuta nelle cave di Chiusano. E poi i delfini di Settime e di Belangero (questi ultimi rinvenuti solo nel 2003). Ma è solo una piccola parte dei fossili di cetacei che nei decenni le colline astigiane hanno restituito. L'elenco completo lo ha fatto il Museo di Scienze Naturali di Torino, oggi ancora chiuso per ragioni di sicurezza dopo lo scoppio di una bombola antincendio ad agosto, che custodisce numerose balene astigiane o parte di esse.

Un elenco che è nelle mani del dottor Piero Damarco, paleontologo, conservatore museale dell'Ente Parchi astigiano, fra le "anime" che lavorano alacremente per un rientro di questi fossili a casa loro, ora che ci sono le condizioni e gli spazi per ospitarle. «Nella sede distaccata del Museo, all'ultimo piano di Palazzo Carignano a Torino -spiega Damarco- sono esposti molti reperti astigiani, alcuni dei quali anche ad un buon punto di restauro e quasi completi. Come la balenottera di Montafia, un fossile eccezionale nella sua unicità. Se non ce la lasciano, spero di poterne fare almeno un calco per esporlo e per dimostrare che si tratta di una specie nuova, mai scoperta prima». Sempre il Museo di Torino ha i fossili della balena di Bagnasco (frazione di Montafia ndr) anche se non completa. Un'altra balena completa è quella rinvenuta a Montechiaro mentre non si ha piena contezza dello stato e dell'integrità di fossili di cetacei rinvenuti a Cortandone, Cortazzone (anche qui un esemplare completo molto bello), a Mongiglietto di Cortazzone, a Vallunga di Piea, un altro cetaceo a Chiusano, a Schierano di Passerano, Valleandona, il delfino di Camerano Casasco anch'esso completo. Ancora altri reperti nella zona di Mombercelli e poi Penango, Tonco, Montiglio, Albugnano, San Damiano. Sono reperti, questi, rinvenuti nella seconda metà dell'Ottocento e sono di proprietà dell'Università. «Ora non è possibile accedere a quei locali per motivi di sicurezza -sottolinea ancora il dottor Damarco- ma confidiamo di poter analizzare i reperti di ogni ritrovamento registrato chiedendo di poter ospitarne una parte nella nostra sede di museo. Con la Viglianottera la nostra richiesta è andata a buon fine, nei prossimi giorni abbiamo una riunione a Torino proprio per portare avanti un accordo per far arrivare ad Asti quanti più fossili possibili».

Fossili che vengono rinvenuti sempre in modo casuale e che potrebbero essere molti di più se i proprietari dei terreni non avessero una certa diffusa ritrosia a segnalare i ritrovamenti. «Una diffidenza che non si spiega -sottolinea il dottor Damarco- perchè non è fondata l'idea che poi si hanno solo "grane". Anzi. La legge, infatti, prevede un riconoscimento economico in base alla valutazione del reperto sia per il proprietario del terreno che per chi lo rinviene (e spesso sono la stessa persona). Inoltre, per tutto il tempo degli scavi viene pagata l'occupazione del suolo e si tenga conto che, anche in caso di un fossile di grandi dimensioni, non si va oltre a qualche settimana di "disturbo"».

Ricordando che, accanto agli affioramenti scientificamente validati, circolano voci che a volte assomigliano a leggende metropolitane su ritrovamenti di balene e delfini di cui nessuno però ha mai visto nulla: vale per la balena di Castello d'Annone, di Berzano San Pietro, di Rocca d'Arazzo. «Di queste noi non abbiamo alcuna evidenza scientifica» dice il dottor Damarco, sottolineando anche come spesso, quando vengono chiamati da persone che hanno ritrovato dei reperti fossili, quasi sempre si tratti di pietre con forme simili a parti di scheletri animali.

Daniela Peira

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