Dietro a Solotundra, progetto musicale di matrice folk?country nato nel 2011, si cela l'astigiano Andrea Anania. Cantante, polistrumentista, ma soprattutto compositore e autore di talento che in
Dietro a Solotundra, progetto musicale di matrice folk?country nato nel 2011, si cela l'astigiano Andrea Anania. Cantante, polistrumentista, ma soprattutto compositore e autore di talento che in questi giorni pubblica il video/singolo "Annie" (bansolotundra.bandcamp.com), brano apripista per il nuovo e secondo album, "Live Music, Dead People", la cui uscita è prevista per i primi di marzo. Abbiamo colto l'occasione per scambiare qualche parola con l'autore e farci raccontare in anteprima i segreti di questo nuovo capitolo discografico.
Diamo uno sguardo al recente passato: sei soddisfatto dell'accoglienza ricevuta dal tuo primo album, "What We Did Last Winter"?
«Muovendomi in totale autonomia solo attraverso l'ascolto del disco sono riuscito a fare più concerti, ricevere più recensioni, e in generale più consensi di quello che pensavo. La mia musica è arrivata a tante orecchie ed è stata apprezzata e non credo che tutto il resto che un musicista può ricevere dalla musica sia più importante di questo».
In questo secondo disco ci sono dieci brani, due in più rispetto al primo, come mai?
«Ho colto il materiale più maturo a disposizione. Oggi è difficile confrontarsi con questi formati tradizionali, comprati da poche persone. Personalmente pubblicherei soltanto EP, e non escludo che in futuro questa possa essere la strada di Solotundra, perché è una soluzione che non fa stagionare troppo il materiale, ideale per chi vuole percorrere sempre strade nuove».
Da cosa nasce il titolo del disco, "Live Music, Dead People"?
«Da un locale di Roma triste e deserto che esponeva in vetrina la scritta "Live Music". Mi sono specchiato un po' ironicamente in quel locale e ne ho tratto ispirazione».
Nei tuoi pezzi suonano strumenti eterogenei. Chi collabora con te e in che modo scegli quali suoni sono più confacenti ai brani?
«Uno strumento per me equivale a un colore e mi piace usarne tanti. Amo i Beach Boys, i Beatles, i Kinks, Dr. John, e il loro uso dell'orchestra. Averne una a disposizione sarebbe il mio sogno perché studio i loro metodi di composizione e arrangiamento e cerco di applicarli, laccando poi il tutto con il mio gusto personale. I miei collaboratori sono i miei migliori amici: Giacomo Stella e Andrea Virga, da sempre i miei compagni di musica, condividono con me un grande amore per la cultura e la musica americana e mi hanno influenzato spesso con i loro ascolti. Edoardo Accornero e Corrado Audasso, che si occupano di tutti i fiati del disco, sono talenti con cui ho avuto la fortuna di lavorare negli ultimi anni con gli Sturia Lavandini. Completano il tavolo degli ospiti il mio collega postino Gildo Armeni, che suona il sitar in "Enlightening", e l'orgoglio della musica elettronica astigiana Raffaele D'Ascanio, che nella canzone "Still Mine" porta il disco su un altro pianeta».
A proposito di cultura americana, il video del singolo "Annie", diretto da Paolo Gonella di Officine Kaplan e visionabile sul tuo profilo YouTube ufficiale (guarda video), richiama un immaginario southern. Quanto è stata importante, nella tua formazione artistica, l'iconografia statunitense?
«In realtà con il video di "Annie" volevamo solo suggerire quel mondo, perché il razzismo è ancora vergognosamente presente in America come qui da noi. La cultura americana mi affascina molto per il suo essere una gigantesca contraddizione, questa convivenza di anime così estremamente diverse tra di loro, che hanno regalato al mondo cose meravigliose come il blues, la cultura beat, i cheeseburger».
Quali storie racconti nei tuoi testi?
«Le mie storie sono solo tratteggiate perché non mi ritengo un grande narratore, riesco solo a evocare immagini, e parlano di amore, vita e morte».
Che difficoltà incontrano in Italia gli artisti che come te scrivono in lingua inglese?
«Parecchie, la maggior parte delle etichette non ti ascolta nemmeno, soprattutto se non sei classificabile in un genere definito e facilmente vendibile».
Come ti muoverai per la promozione del disco?
«Sicuramente ci saranno almeno un altro singolo e un video che seguiranno l'uscita del disco a marzo. Poi i concerti, ma dovendo fare tutto in autonomia non c'è ancora un calendario: lo comunicherò volta per volta sulla pagina facebook di Solotundra (www.facebook.com/solotundra)».
Da cosa nasce la decisione di pubblicarti e produrti in modo indipendente?
«Nessuno compra più dischi, il circuito è molto ristretto e le band che non possono permettersi un ufficio stampa non riescono nemmeno a farsi ascoltare. Non trovo giusto pagare per essere esposto in un mini?market dove ottime band sono promosse allo stesso modo di artisti di basso livello. Per me la qualità della musica è la cosa più importante e non ha nulla a che fare col suo destino sul mercato».
Per chi ancora non conosce il progetto, da cosa nasce il nome Solotundra?
«Dalla necessità di trovare un nome che suonasse sia in italiano che in inglese e che rimandasse un po' all'isolamento e ai paesaggi che amo dipingere nella mia musica. E' anche un piccolo omaggio al Canada, paese che amo, che ha sfornato molti tra i miei artisti preferiti (Neil Young, Joni Mitchell, The Band, Broken Social Scene), e dove ho perso un pezzo di dito in un tritacarne».
Luca Garrone