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Un caffè con... Giampiero Mughini: "Per favore non parlate di sport"
Cultura e Spettacoli

Un caffè con… Giampiero Mughini: "Per favore non parlate di sport"

Qualche settimana fa scorgevo il programma del Festival “A sud di nessun nord” e devo confidarvi che tra i tanti relatori prestigiosi, alcuni molto noti altri un po’ meno, la mia attenzione

Qualche settimana fa scorgevo il programma del Festival “A sud di nessun nord” e devo confidarvi che tra i tanti relatori prestigiosi, alcuni molto noti altri un po’ meno, la mia attenzione veniva catturata prepotentemente dal nome di Giampiero Mughini. Sì, proprio lui, il tifoso juventino per antonomasia! Colui che ha sempre difeso i colori bianconeri, nella buona e nella cattiva sorte, sempre e comunque. Uno che non ha mai avuto paura di schierarsi dalla parte della società più blasonata d’Italia anche in periodi di scandali, veleni, calciopoli, processi, penalizzazioni, scudetti vinti sul campo ma congelati dai tribunali sportivi.

Uno che, per dire, è stato capace di dichiarare che Zeman sarà pure un grande allenatore ma è anche un impagabile cabarettista quando si tratta di lanciare veleno anti-Juve. D’accordo, Mughini non è esclusivamente un “opinionista calcistico” e sarebbe certamente riduttivo qualificarlo soltanto in questi termini. Obiettivamente però gran parte della sua popolarità, soprattutto televisiva, è dovuta alla presenza come ospite fisso nella trasmissione Mediaset “Controcampo” dove era sempre pronto a disquisire di pallone ed accapigliarsi con il pubblico in studio o con gli altri ospiti del programma talvolta in maniera irriverente e un po’ sopra le righe. E dunque quando arrivo al Diavolo Rosso e vedo Mughini seduto ad un tavolino del cortile intento a bere un bicchiere di vino con alcuni amici e mi avvicino per chiedergli l’intervista non avrei davvero immaginato che lui mi dicesse: “Facciamo pure l’intervista ma per carità, caro mio, preferisco non parlare di calcio”. Come???? Ho l’opportunità di parlare con Giampiero Mughini ma, nonostante la mia insistenza, lui non vuole parlare di calcio.

A me pare quasi un paradosso scontrarsi con il suo silenzio-stampa sull’argomento. La cosa mi sorprende e un po’ mi spiazza. Ma tant’è, il personaggio Mughini sembra essere per definizione spiazzante e sorprendente e dunque anche con me non poteva sottrarsi alla sua natura. Così mentre penso che gran parte delle domande che mi ero preparato (riguardavano in gran parte il calcio, se non si fosse capito) rimarranno scritte sul mio taccuino a futura memoria, vi annuncio che questa settimana la rubrica “un caffè con” non si svolge al bar ma a margine di un incontro della rassegna “A sud di nessun nord” con l’istrionico Giampiero Mughini (ma credo che anche questo l’avrete già capito se avete avuto la pazienza di leggere quest’articolo fino a qui).

Classe 1941, il nostro si autodefinisce “un italiano certo non più giovane che da una parte ama il suo Paese ma dall’altra parte è atterrito dalle condizioni di questo Paese. Un italiano perfettamente indipendente dalle culture e subculture dominanti della politica e della vita pubblica italiana e che ama molto delle cose ormai fuori moda tipo i libri di carta ed ora è molto contento di chiacchierare con lei”. Di Mughini mi colpisce all’istante la carica teatrale e quasi innaturale che accompagna alcune sue parole e, soprattutto, non posso fare a meno di notare il trench rosso vivace indossato dal poliedrico personaggio di origine catanese. Un particolare che sicuramente non lo fa passare inosservato ed infatti il soprabito, unito alla notevole popolarità dell’uomo, destano l’immediata curiosità dei molti presenti in loco che fanno capannello intorno a noi per ascoltare la comunque piacevole chiacchierata. Mughini mi dice di essere qua per volere di Alessandro Santerno “uno degli organizzatori di questo bellissimo festival: se sono ad Asti è grazie all’amicizia e alla stima spero reciproca che c’è tra me e lui che tra l’altro è un bravissimo libraio nel genere che piace a me, quello novecentesco”.

E così, parlando della sua passione per i libri, la nostra conversazione si sposta al modo in cui si parla delle opere letterarie, specialmente con il mezzo televisivo. “Vede – mi dice Mughini dandomi l’impressione di volere andare a cercare e scegliere le parole migliori per dare forza al suo pensiero – oggi purtroppo in linea generale c’è molta disattenzione nei confronti dei libri ma poi c’è anche un modo di parlarne, e mi riferisco al modo in cui di solito si parla in tv dei libri, che è infame perché è molto rapido, abbreviato e schematico. Ora, lei capisce, i libri per la loro natura non sono né rapidi né abbreviati né schematici. Se lei cerca una cosa rapida, abbreviata e schematica al limite può fare un tweet, ha capito? Allo stesso modo non voglio parlare del libro che sto scrivendo perché sono assolutamente convinto che il libro esiste soltanto il giorno prima che vada in libreria. Ad esempio, ci sono autori che dicono ‘sto scrivendo un libro sulla birra’ ma questo vuol dire tutto e vuol dire niente perché bisogna vedere come parli della birra. Cioè a dire, non esiste un argomento; esiste il modo in cui tu tocchi quell’argomento”.

E visto che la nostra chiacchierata sembra ormai aver preso il volo (e, tra l’altro come facilmente si potrà notare, sta volando molto alto) mi incuriosisce sapere quali tra i colleghi scrittori sono stimati dal nostro ospite in un’epoca come questa di librerie piene di proposte di vario genere. “E’ vero, le librerie sono piene e io stimo tante persone come autori di libri. Se ne cito uno faccio torto agli altri… Però adesso che ci penso, e visto che siamo in Piemonte, a me è piaciuto molto uno che frequenta questa splendida regione dell’Italia. Si tratta di un giovane storico che risponde al nome di Sergio Luzzatto ed insegna pure all’università di Torino. Perché gliene voglio parlare? Perché Luzzatto ha scritto “Partigia” che sta per Partigiano, un libro molto interessante su Primo Levi. Oddio, non è un libro bellissimo ma è alquanto originale e ne consiglierei davvero la lettura anche perché l’autore è un uomo ed uno storico molto intelligente. Per quanto riguarda i giornalisti che scrivono libri… bah, a dirle la verità, non li trovo né utili né interessanti. Se scrivono libri da scrittori allora è una cosa bella ma se lei, ad esempio, dovesse scrivere un libro da giornalista soltanto come se fosse un articolo un po’ più lungo beh…me lo lasci dire, quello non sarebbe per nulla interessante. Ecco – mi dice sorridendo dietro la sua colorata montatura degli occhiali – io non ho mai scritto libri da giornalista”.

Ha poi un’idea ben precisa sulla questione carta stampata, un terreno che Mughini conosce bene essendo stato nel 1969 tra i fondatori de Il Manifesto: “Rispetto al passato è cambiata radicalmente la rilevanza del giornalismo per iscritto perché questa forma di giornalismo oggi non è più importante come una volta. Quindi, ad esempio, il Corriere della Sera di una volta e per numero di copie e per autorevolezza era una cosa che oggi non c’è più. Io per diciotto anni sono stato inviato speciale di Panorama che era un settimanale che vendeva cinquecento o addirittura seicentomila copie negli anni ‘80 quando facevo parte della redazione. Purtroppo è un tipo di giornale completamente perduto e infatti credo che oggi venda un qualcosa come trentacinque mila copie. Quindi lei capisce la differenza rispetto all’epoca… Oggi invece si assiste a fenomeni un po’ bizzarri come il fatto che sul blog di Grillo ci vanno milioni di persone a cinguettare, a dire la loro su come va il mondo. Da quando ho iniziato io, caro mio, il mondo è cambiato radicalmente e con esso anche il modo di fare informazione e di accedere alle notizie. Pertanto credo di poter affermare senza dubbio che il giornalismo di carta sia attualmente a una svolta epocale e, mi creda, drammatica”. Sarà, ma io con Mughini avrei voluto parlare di calcio.

Bartolo Gabbio

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