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Una “malinconica” passeggiatatra il verde di Viatosto, poi al “Petrol”
Cultura e Spettacoli

Una “malinconica” passeggiata
tra il verde di Viatosto, poi al “Petrol”

Giorgio mi ha mostrato tutti i cinema della città. A pensarci erano davvero molti. Mi dispiace non potere avere ancora oggi la possibilità di scegliere tra film proiettati in luoghi diversi per

Giorgio mi ha mostrato tutti i cinema della città. A pensarci erano davvero molti. Mi dispiace non potere avere ancora oggi la possibilità di scegliere tra film proiettati in luoghi diversi per stile, ubicazione ed atmosfera. Mentre faccio queste considerazioni tra me e me, continuiamo a passeggiare a piedi, per questa Asti che si mostra ricca di opportunità. Osservo le automobili parcheggiate. Riconosco tra queste, i modelli preferiti dagli hippy, in primis il furgoncino a marca Wolksvagen. Ne ho davanti proprio uno, è bicolore bianco e blu. Le altre auto che catturano la mia attenzione hanno colori evidenti, "Una Citroen Diane gialla e una Renault 4 rossa." Precisa il mio Virgilio che ormai ha imparato ad anticipare tutte le mie domande. Ci dirigiamo verso la nostra auto che, se la memoria non ci inganna, dovrebbe essere parcheggiata all’altezza di Via Carducci.

Giorgio guarda l’ora. Sono le 13 e ho il timore che stia per dire che è giunto il momento di tornare a casa, nell’epoca giusta. Invece no e ancora mi stupisce. "Andiamo a mangiare qualcosa?" Mi dice. Come sempre non ho il tempo di chiedergli dove che già mi precede dicendo: "Anduma a mangé alla Petrol." Capisco allora che siamo diretti al ristorante La Grotta. Mentre guida, Giorgio racconta. "Questo ristorante è diventato un punto fermo della ristorazione astigiana. Negli anni ‘70 era già un posto molto ambito e ricordo che mio padre era solito andarci. La Grotta è altrimenti detta dagli astigiani Petrol, proprio perché una volta aveva di fronte un distributore di benzina della Petrol Caltex. Quando avevo vent’anni, io e gli amici la frequentavamo molto. Eravamo ghiotti dei mitici antipasti del carrello. Ah, ovviamente ordineremo proprio quelli." Lasciamo la macchina di fianco all’ingresso ed entriamo sperando che ci sia posto anche per noi che non abbiamo prenotato. Il locale è quasi uguale a quello dei giorni nostri. C’è ancora qualche tavolo libero e ci sediamo.

Ordiniamo antipasti del carrello e una bottiglia di Barbera, di quello buono. "Un altro ristorante considerato una "sicurezza" negli anni ‘70 era il Falcon Vecchio. Si trovava nei pressi di quella che oggi si chiama Piazzetta Italia, in vicolo San Secondo. Lì si mangiava molto bene il bollito”. "Anche il Moro "a tacá Tani" era un posto molto frequentato." Quando Giorgio cita Il Moro penso a quante volte ci sono stata da bambina, nei primi anni ‘80. "Poi, a Pontesuero c’era la trattoria "Da Dirce". Dirce era il nome della prima proprietaria. Il ristorante si trovava sul retro del negozio di alimentari e tabaccheria. Anche qui il menù era quello tipico piemontese, ricordo il grilletto colmo della famosa mousse al cioccolato." Mentre cerchiamo di assaggiare tutti gli antipasti, Giorgio mi racconta di un momento particolarmente festoso per la città, che lui e gli amici del Cocchi aspettavano da un anno all’altro, le giostre.

"Le giostre erano un avvenimento. La gente che incontravi in Piazza era poi sempre la stessa, ma in quel contesto è come se ci si guardasse con occhi diversi. Ricordo bene il profumo di torrone e di zucchero filato. Le giostre portano con loro una magica malinconia. L’attrazione per questo posto dove tutto sembra fatato tipica dell’infanzia, ti resta in qualche modo addosso anche da adulto. Pensarti bambino di fronte al castello stregato fa sorridere di tenerezza." Legato a doppio filo con le giostre è il lunedì dei fuochi. "Da ragazzi si andava a vedere i fuochi a Tanaro. Ricordo però che per un breve periodo i fuochi vennero fatti al campo sportivo. Andavamo tutti a piedi e, arrivati a lungo Tanaro, cercavamo di accaparrarci i posti migliori. Immancabilmente, alla fine dello spettacolo, qualcuno gridava: "È partia la culumba". La colomba segna la fine dei fuochi, praticamente non fa luce, ma un gran botto. Dopo i fuochi avveniva poi una vera transumanza, tutti, ma proprio tutti andavano alle giostre. La sera dei fuochi noi amici ci limitavamo a guardare le giostre. Non ci salivamo perché essendoci troppa gente i giri duravano meno e ci sembrava di sprecare i soldi del biglietto."

Concludiamo il nostro pranzo in bellezza, gustando un bunet alla vecchia maniera, squisito. "Ci resta da visitare ancora un posto. Questo è davvero speciale." esclama Giorgio. Paghiamo il conto con delle banconote in lire. Non ho alcuna idea di come siano magicamente spuntate nel portafoglio di Giorgio. È una dalle tante stranezze di questo nostro viaggio. Appoggiata su un cucuzzolo che, più che dominare, osserva a suo agio la città di Asti, rossa e pacifica sta la chiesa di Viatosto. Ed è proprio lì che siamo diretti. Parcheggiamo l’auto e saliamo la scalinata che conduce alla chiesa. E’ una bella giornata e questo anticipo di primavera invoglia a stare fuori. Molti ricordi sono legati a questo posto.

“Io avevo sedici anni ed ero il fortunato proprietario della mia prima Vespa già abbondantemente usurata dal babbo. Salivo a Viatosto almeno una volta al giorno, perché sapevo che, a piedi o in bicicletta, anche le ragazze ci venivano. Era una specie di struscio decentrato, che non aveva un’ora di punta ma un lento fluire nel corso della giornata, per cui, oltre a non sapere chi, non era dato nemmeno sapere quando. Di conseguenza, ogni volta era una specie di puntata alla roulette, per la quale non esiste un sistema ma ci si deve accontentare della fortuna, se ce n’è…” "Guardala" mi dice Giorgio, "impassibile e per niente scandalizzata, la chiesa di Viatosto è ancora al suo posto. Ha visto la città cambiare e invecchiare: quei ragazzi che dividevano i miei teens ora sono più che adulti. Alcuni ci hanno portato i figli, altri ci salgono fingendo di fare jogging, altri non ci vengono più perché non sanno ricordare."

"Tuttavia, i ragazzi continuano a salirci. Sono cambiati i motoretti e le biciclette ma quei giovanotti e quelle signorine hanno negli occhi la stessa luce, non importa se ora si accende nello stesso modo per un SMS al cellulare. Asti è una città che, se si parla d’arte, forse ha frecce migliori al suo arco. Ma io, per motivi di piccole e acuminate nostalgie, scelgo sempre questo fazzoletto di collina." "Qui dò uno sguardo alla città, che adesso ha molti più tetti e molte meno attrazioni da circo, e lascio le voci parlare di XI e XIII secolo, di stile romanico, di affreschi e quant’altro. Mi siedo su una panchina, mi accendo l’unica sigaretta della giornata e mi illudo di far parte ancora di quel movimento artistico e creativo che è la gioventù.” Il calcio troppo forte di un ragazzino fa volare un pallone sulle nostre teste che si voltano a seguirne la traiettoria. Il pallone si perde nei prati sottostanti e lo sguardo sui tetti della nostra città. E qui finisce il viaggio e il suo racconto.

Grazie a Giorgio Faletti che ha accettato con entusiasmo di accompagnarmi in questa insolita avventura nel tempo. E’ possibile ritrovare molto di questo viaggiatore nel suo ultimo libro, “Da quando a ora” edito da Einaudi. Con tenerezza e umorismo lo scrittore si racconta e attraverso la musica descrive l’Italia passando dagli anni Cinquanta all’esplosione creativa dei Sessanta e Settanta, fino ad arrivare alle storie nuove dell’Italia di oggi. Alcune pagine sono dedicate alla nostra città, che spesso fa da sfondo e al contempo da protagonista ai suoi ricordi. Completano il libro due Cd, incisi per questa edizione, “Quando” e “Ora”, rispettivamente raccolta dei successi e album di canzoni inedite. Grazie di tutto Giorgio.

Alessia Conti

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