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Felici Giorgio
Economia

Artigianato, nell’Astigiano 433 richieste di contributi per la cassa integrazione

Primo bilancio dell’Ente bilaterale del settore. In totale in Piemonte le domande ammontano a 8.350 per una forza lavoro di oltre 33mila dipendenti

Artigianato, 433 richieste di cassa integrazione

L’emergenza Coronavirus, e il conseguente blocco dell’attività di molte imprese artigiane, hanno come conseguenza l’ingente numero di richieste di accesso al Fondo di solidarietà bilaterale artigiano.
Da lunedì 16 a venerdì 27 marzo sono 8.350 – con riferimento al bacino piemontese – le richieste pervenute all’Ebap (Ente Bilaterale Artigianato Piemontese) per l’utilizzo del Fondo di sostegno bilaterale artigianato – ovvero la cassa integrazione degli artigiani – utilizzato per ammortizzare i costi del personale delle imprese che si sono dovute fermare. Le 8.350 richieste rappresentano complessivamente una forza lavoro di oltre 33mila dipendenti.
A livello provinciale le richieste sono così ripartite: 3.800 a Torino, 1.400 a Cuneo, 881 ad Alessandria, 820 a Novara, 433 ad Asti, 416 a Biella, 330 nel Verbano Cusio Ossola e 270 a Vercelli.

L’intervento del presidente Giorgio Felici

“Il Fondo serve per coprire le necessità immediate e permettere gli artigiani di non dover licenziare il personale o chiudere la propria attività”, dichiara Giorgio Felici, presidente di Confartigianato Imprese Piemonte. “Questa è una prima boccata di ossigeno, ma le risorse che occorrono sono sicuramente più importanti. Il sistema dell’artigianato è fatto di micro e piccole imprese che potrebbero facilmente essere spazzate via alla fine della pandemia. Quello che bisogna attivare è un vero e proprio impulso imprenditoriale e sostenere le imprese già duramente provate da un decennio di crisi”.
“Dopo queste settimane di blocchi e di consumi quasi azzerati – aggiunge Felici – le nostre imprese sono in grave difficoltà, e se la situazione si protrae si rischiano fallimenti a catena con gravi conseguenze per i dipendenti e le loro famiglie. È certo che i piccoli sono quelli più duramente colpiti. Dalle istituzioni e dalla politica ci aspettiamo che sappiano mettere in campo misure eccezionali e straordinarie. Servono risorse, ma soprattutto idee su come reperirle. Un Piano Marshall non arriverà dall’altra parte dell’Oceano, bisognerà che a vararlo sia l’Europa. In questo momento non è sufficiente qualche bonus né normali strumenti di finanziamento bancario. Serve un’azione che riesca a mobilitare risorse imponenti destinate alle imprese, in modo veloce e capillare. Occorre, inoltre, assicurare con chiarezza e con buon anticipo che saranno rinviate tutte le scadenze di pagamento di aprile, maggio e giugno, a cominciare dai pagamenti dell’Imu sui capannoni che in questo momento non sono produttivi“.
“Bisogna poi – conclude – iniettare nel sistema imprenditoriale una dose importante di liquidità per sostenere le imprese più piccole che sono la stragrande maggioranza del totale e che si reggono in gran parte sul flusso di cassa. Serve un “ponte” per permettere alle aziende di superare questo momento gravissimo, che rischia di estinguere le nostre botteghe artigiane. Se riusciamo a salvare le imprese dalla catastrofe, salviamo il lavoro e il futuro per le generazioni a venire”.

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