«Siamo completamente immersi nella quarta rivoluzione industriale, quella determinata dall’algoritmo, che non ha solo portato ad una profonda innovazione a livello tecnologico, ma ha cambiato anche noi».
A parlare è Sebastiano Barisoni, vice direttore di Radio 24, dove ogni giorno conduce il programma “Focus Economia”. Recentemente è stato protagonista di un interessante incontro nell’ambito della Rassegna dei Vermouth, promossa dall’Unione industriale e dal Consorzio del Vermouth di Torino. Inserita nel programma della Douja d’Or, si è svolta per la prima volta nel Cortile del Collegio grazie all’accordo con la Biblioteca Astense.
Sul palco, presentato dalla presidente della Biblioteca Roberta Bellesini e introdotto dalla collega de “Il Sole 24 Ore” Filomena Greco, Barisoni ha intrattenuto i numerosi presenti offrendo molti spunti di riflessione che esulano dalla cronaca quotidiana, concentrandosi su elementi di scenario. Nello specifico, sul tema “crisi e rivoluzione”.
«Questo ragionamento – ha spiegato – nasce dal fatto che, già anni fa, in occasione delle assemblee di imprenditori cui partecipavo, mi veniva sempre posta la stessa domanda. Nonostante gli indicatori fossero positivi (occupazione, bilancio, fatturato), l’assemblea mi chiedeva quando si sarebbe tornati a vivere come prima. Uno spunto che mi ha portato a pubblicare sul tema il libro “Terra incognita”».
Crisi e rivoluzione
Come ha spiegato, per rispondere alla domanda bisogna prima capire la differenza tra crisi e rivoluzione. «Le crisi che si sono avvicendate negli ultimi 40 anni – ha ricordato – sono state numerose, da quella legata a Suez degli anni ‘70 a quella mediorientale scoppiata nel 2023. Sebbene abbiano avuto matrici diverse, sono accumunate da un’evoluzione molto simile. Hanno infatti determinato un crollo verticale dell’attività produttiva, colpendo alcuni settori e mai l’intero sistema, cui è seguito un recupero in cui ci si è riposizionati ad un livello superiore a quello pre-crisi. Attualmente, ad esempio, l’Italia registra un Pil più alto di tre punti rispetto al 2019. In queste situazioni, la strategia migliore per un imprenditore è non fare nulla».
Il giornalista ha quindi ricordato l’atteggiamento diffuso cui aveva accennato all’inizio. «Nei periodi di crisi – ha ribadito – la preoccupazione dilaga e tutti vogliono tornare all’“età dell’oro”, tanto che anche la politica è sulla stessa lunghezza d’onda. Ma se, come abbiamo detto, le crisi sono state superate, ci deve essere qualcosa che lavora dentro e sotto di noi e determina un atteggiamento di rimpianto del passato. Questa è la rivoluzione».
Le rivoluzioni industriali finora sono state tre: la prima, avvenuta tra il Seicento e il Settecento in Inghilterra; la seconda, che coincide con Taylorismo e Fordismo, ad inizio Novecento negli Stati Uniti; e la terza, ovvero il consumismo, dal 1945 in avanti, con l’ultima coda a fine anni Novanta.
All’inizio le rivoluzioni presentano sintomi simili, ma lo sviluppo è completamento diverso. «Ad accomunarle – ha precisato – tre caratteristiche: sono indistinte, perché colpiscono tutti i settori industriali; irreversibili, in quanto sono un flusso storico che non consente di tornare alla situazione precedente; e imprevedibili nel loro sviluppo. Quest’ultima è la componente più fastidiosa, perché non consente di prevedere cosa può succedere in futuro, obbligando a “navigare a vista” e inducendo a rifugiarsi nelle certezze del passato. Una situazione che ha una implicazione psicologica più che economica, proprio a causa del mondo nuovo che sta nascendo, e che spesso si traduce in angoscia per la perdita di tutti i punti di riferimento. Basti pensare al comportamento attuale delle famiglie: di fronte ad un aumento del reddito, preferiscono tenere il denaro sul conto corrente perché non si fidano del futuro».
L’algoritmo
Barisoni si è detto in disaccordo con chi attribuisce la rivoluzione attualmente in corso alla globalizzazione. «Per essere tale – ha precisato – una rivoluzione non può basarsi su un elemento scatenante già verificatosi nella storia dell’economia mondiale come la globalizzazione, conosciuta diverse volte, come all’epoca delle Repubbliche marinare. E poi l’elemento scatenante delle rivoluzioni è sempre tecnologico: ora è l’algoritmo, che ha cambiato “dentro” i consumatori».
A questo proposito ha poi ricordato che si comincia a parlare di algocrazia, ovvero di dittatura dell’algoritmo. «L’aspetto più rivoluzionario – ha affermato – si può comprendere pensando al percorso che si segue per acquistare un prodotto o un servizio in rete. Rispetto a quando non esisteva il commercio on line, si è ribaltato il rapporto di forza: è l’acquirente, non più il venditore, ad avere il maggior numero di informazioni sul prodotto. Si pensi a quante informazioni si posseggono (prezzi, recensioni…), peraltro su scala mondiale, quando si deve prenotare una camera d’albergo. L’algoritmo consente di comprare esattamente ciò che si vuole, mentre prima ci si doveva accontentare. Questo è il valore aggiunto in grado di allocare».
Le strategie
Come si deve comportare, allora, il venditore (o in generale l’imprenditore, il professionista) per sopravvivere? «Sfidare l’algoritmo è impossibile – ha evidenziato – quindi bisogna pensare a fornire un valore aggiunto che internet non è in grado di dare. Partendo dal presupposto che l’uomo è un “animale sociale e culturale”, il valore aggiunto che ci distingue è la consulenza allo stato puro, che si basa sull’empatia e sulla capacità di riconoscere quelle sfumature di significato che nemmeno l’intelligenza artificiale potrà comprendere. Esempio molto semplice: se si vogliono avere indicazioni su un ristorante romantico a Venezia il web non è in grado di rispondere, mentre un caro amico, che conosce la città e la mia concezione di “romantico”, mi aiuta in un secondo. Un principio che si applica ad ogni professione: pensiamo ad un’agenzia viaggi o ad un consulente finanziario. In sostanza, la nostra salvezza è legata al fatto che siamo essere umani».