Con la sentenza sul fallimento della Way Assauto di una settimana fa, Beppe Morabito, storico esponente di Fiom Cgil, tira fuori qualche sassolino dalla scarpa. «I nostri operai, la Fiom e io in
Con la sentenza sul fallimento della Way Assauto di una settimana fa, Beppe Morabito, storico esponente di Fiom Cgil, tira fuori qualche sassolino dalla scarpa. «I nostri operai, la Fiom e io in prima persona abbiamo passato momenti bruttissimi nei periodi che hanno portato prima al passaggio di proprietà della Waya e poi alla sua chiusura – ha detto ieri in una conferenza stampa – Siamo stati criticati, isolati, emarginati, attaccati, derisi durante la nostra lunga resistenza alla scelta della cosiddetta "cordata Trinchero" quale acquirenti delle quote Waya detenute dalla Arvin che voleva disfarsene. Avevamo tutti contro – prosegue Morabito – dalle istituzioni alle amministrazioni politiche locali che invece caldeggiavano quella soluzione. E, fra quelli contro, anche esponenti dello stesso fronte sindacale che avrebbe invece dovuto fare solo gli interessi dei lavoratori».
Un'ostilità, prosegue Morabito, che gli operai iscritti alla Fiom hanno pagato con il fatto di essere sempre i primi ad essere messi in cassa integrazione, i più vessati, quelli che hanno lavorato per mesi in un clima molto pesante all'interno della fabbrica. «Questa sentenza restituisce dignità a tutti gli operai che si sono costituiti parte civile per difendere la loro fabbrica – affonda Morabito – La cui chiusura, peraltro, ha portato molti di loro direttamente alla disoccupazione e alla mobilità. Non saranno i 500 euro a testa quantificati come risarcimento danni a cambiare la loro vita, ma le parole del giudice, che ha riconosciuto la loro tenacia anche nella costante presenza alle udienze, sono la dimostrazione di come gli operai e la Fiom avesse visto giusto quando non voleva affidare la Waya a Trinchero e Robella».
Un passaggio di proprietà che, come ammesso anche in aula dallo stesso Robella, era avvenuto sotto una forte pressione politica e istituzionale locale, «quando anche istituzioni di settore come l'Unione Industriale aveva ammesso che il piano presentato da questa cordata era il meno credibile rispetto invece a quelli presentati dal gruppo Montante o dalla Gaetra. Eppure tutti hanno fatto finta di non capire e di non vedere. E questi sono stati i risultati». Sul piano più tecnico e giuridico del riconoscimento del ruolo delle maestranze nel far venire a galla le responsabilità della dirigenza è intervenuto l'avvocato Maurizio La Matina, che assisteva le parti civili di Fiom e suoi operai iscritti.
«Dobbiamo attendere le motivazioni per capire il ragionamento dei giudici ma sicuramente è molto infrequente che vengano ammessi i dipendenti e i sindacati come parti civili in processi per bancarotta fraudolenta dove l'unica parte civile normalmente è la curatela fallimentare. E poi è significativo – prosegue l'avvocato – che alcuni reati addebitati ad Ezio Trinchero e Diego Robella assimilabili alle appropriazioni indebite e false fatturazioni, dunque già prescritte, siano invece state trasformate in nuove imputazioni mirate alla commissione della bancarotta e dunque hanno concorso alla formazione della pena che, per Robella, è stata più grave rispetto alla richiesta del pm Tarditi».
Daniela Peira