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Economia

Edilizia, in quattro anni
persa una impresa su 4

Allarme occupazione: il settore ha perso 600 posti di lavoro negli ultimi anni. Diminuite del 26% le imprese regolarmente iscritte alla Cassa edile e una perdita, a livello nazionale, di circa 245mila posti di lavoro con una costante diminuzione di bandi di gare pubbliche

Edilizia, è allarme occupazione.
In base ai dati diramati nei giorni scorsi dai sindacati del comparto, infatti, negli ultimi 4 anni il settore ha perso 600 posti di lavoro. Basti pensare che le imprese regolarmente iscritte alla Cassa edile sono diminuite del 26% con un calo occupazionale di circa il 25% degli addetti (a livello nazionale dal 2008 ad oggi il settore ha perso circa 245mila posti di lavoro) e con una costante diminuzione di bandi di gare pubbliche.

A lanciare l’allarme i segretari provinciali Calogero Palumbo (Feneal Uil), Luigi Tona (Filca Cisl) e Filippo Rubulotta (Fillea Cgil), che mettono in luce anche altri dati. «Attualmente le richieste di cassa integrazione nella nostra provincia – sottolineano – registrano un aumento del 18% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, e fanno salire il totale delle ore complessive di circa il 10% rispetto alle stesso periodo del 2011, incrementando in maniera significativa le domande di occupazione e mobilità. Considerando poi che, in base ad alcune previsioni, solo dal 2017 ci sarà una ripresa del settore, si capisce come la situazione sia preoccupante».

Cosa fare, allora? «Il 2012 – spiegano – si configura sempre più critico dal punto di vista occupazionale, con un sistema produttivo che continua ad indebolirsi (come conferma soprattutto il fortissimo aumento della cassa integrazione ordinaria). Di conseguenza va evitato che le persone attualmente in cassa integrazione vadano ad aumentare il numero già preoccupante dei disoccupati, da una parte promuovendo misure di rilancio a favore delle aziende e delle aree in crisi, dall’altra cogliendo una grossa opportunità con il rinnovo dei contratti integrativi principali – sia con l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) sia con le associazioni di categorie artigiane Confartigianato e Cna – per introdurre misure a sostegno dei lavoratori e delle imprese sane del settore (migliorativi quindi rispetto al contratto nazionale). E ancora, contrastare i fenomeni di concorrenza sleale come il lavoro nero e le false partite Iva».

Le segreterie provinciali dei tre sindacati fanno quindi appello alle Istituzioni chiedendo di puntare fortemente sulla riqualificazione delle città promuovendo interventi mirati per risollevare l’occupazione in provincia e aiutare le imprese locali. «Per questo – concludono – è necessario l’impegno di tutti. E’ infatti assurdo che, tra le prime cause che mettono in difficoltà le imprese, ci sia il ritardo nei pagamenti della Pubblica amministrazione».

Il pessimo stato di salute del settore viene confermato anche da Maurizio Spandonaro, direttore dell’Unione industriale. «Asti – commenta – è in linea con la situazione nazionale, caratterizzata da una crisi generalizzata che può essere analizzata in funzione dei vari settori: l’edilizia pubblica risente della scarsità di fondi statali per la costruzione di nuove infrastrutture e opere pubbliche, ragione che sta alla base anche delle difficoltà dell’edilizia residenziale pubblica (case popolari); l’edilizia commerciale e industriale è ferma perché, vista la situazione, le aziende non investono in nuovi capannoni e progetti di espansione. Infine l’edilizia privata è bloccata per due motivi: da una parte per la sovraproduzione che ha caratterizzato gli ultimi anni, dall’altra perché la domanda è bloccata dalla difficoltà, per i potenziali acquirenti, di contrarre un mutuo. Certo, in città si vedono cantieri, ma la costruzione di un palazzo è solo l’atto finale di un processo cominciato anni fa, e soprattutto non implica che tutti gli alloggi realizzati siano poi acquistati, visto che il mercato dell’invenduto è in crescita».

«Se a questo si somma, poi, il problema “tutto italiano” dei ritardati pagamenti e il fatto che l’edilizia è un settore che si rivolge alla domanda interna, e che quindi non può trarre ossigeno dall’export come altri settori – conclude – si nota come la situazione sia difficile e comporti la difficoltà di fare previsioni su quando avverrà, finalmente, un’inversione di tendenza».

Elisa Ferrando

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