Dopo undici trimestri di attese positive, tornano col segno “meno” le previsioni relative alla produzione industriale e agli ordinativi totali delle aziende in provincia di Asti.
Lo si evince dall’ultima indagine congiunturale promossa presso le aziende associate all’Unione industriale per il primo trimestre 2024.
Per quanto concerne l’occupazione, il 12,9% delle imprese che hanno risposto all’indagine ne prevede un aumento, mentre per il restante 80,6% la previsione risulta costante e il 6,5 % delle imprese ne prevede una diminuzione. Il saldo ottimisti/pessimisti, pari al 6,4%, scende quindi di circa due punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione.
Produzione ed export
Aspettative in calo anche riguardo alla produzione: il saldo ottimisti/pessimisti si assesta al – 3,2%, in flessione rispetto alla precedente rilevazione in cui era al 5,7%. Diminuiscono anche le aspettative sugli ordini totali, con un saldo negativo del 9,7%.
Il 22,6% delle aziende prevede investimenti significativi, in lieve aumento rispetto alla precedente rilevazione, mentre il 38,7% prevede solamente investimenti marginali e il restante 38,7% nessun investimento.
Un dato significativo è poi rappresentato dalle previsioni legate agli ordini export, con un saldo ottimisti/pessimisti che si assesta a -18,2% (contro il – 4% rilevato nella precedente indagine) e con l’81,8% delle imprese che prevede un andamento costante.
In diminuzione, ma questa volta con un significato positivo, anche la percentuale di aziende che prevede di far ricorso alla cassa integrazione (dal 6,10% delle previsioni registrate nell’ultimo trimestre all’attuale 3,2%).
La situazione in Piemonte
La situazione della provincia di Asti si inserisce in un contesto regionale in cui si registra una battuta d’arresto in merito alle attese sulla produzione. Ponendo a confronto le varie province piemontesi, si nota come ci siano attese positive solo per Torino e Cuneo (rispettivamente + 9,4% e + 0,8%). Tutte le altre province, invece, registrano saldi negativi: con Asti in quarta posizione (-3,2%) della classifica chiusa da Biella (-22%).
Intervista al presidente Andrea Amalberto
«Per quanto riguarda la provincia di Asti non sono particolarmente preoccupato per i prossimi mesi. Gli scenari a livello mondiale portano ad un momento di flessione, ma situazioni a rischio non ne registriamo».
Così il presidente dell’Unione industriale Andrea Amalberto commenta i dati dell’ultima indagine congiunturale, relativa alle previsioni per i primi tre mesi del 2024.
Presidente, ci sono indicatori che la preoccupano?
No. Il momento di flessione esiste, dovuto a vari scenari internazionali. Ma per quanto riguarda la provincia di Asti non sono preoccupato, perché non ci sono aziende in situazioni di rischio. Sicuramente il settore dell’automotive sta faticando, anche a causa della situazione di incertezza che mette in difficoltà chi deve acquistare un’automobile, in primo luogo rispetto al mercato dell’elettrico, dato che ci sono aspetti che devono ancora essere definiti, anche a livello pratico (la questione della ricarica).
Un po’ di stagnazione affligge anche il mercato del vino, a causa delle difficoltà sui mercati esteri e alla flessione dei consumi interni (inflazione e stipendi bassi non aiutano di certo), mentre procedono bene alcune nicchie di mercato, sia in campo alimentare sia nell’ambito dei servizi. Comunque le nostre aziende arrivano da anni di difficoltà, per cui sono temprate.
Ha accennato alle difficoltà sui mercati esteri. In effetti l’indicatore relativo all’export segna una flessione...
Sì, a causa della situazione internazionale attuale. L’economia della Cina sta rallentando, i consumi della Russia sono in picchiata, gli Stati Uniti non rivestono il ruolo di “locomotiva” nel mondo. Essendo l’Italia un Paese di trasformazione, è logico che ne risenta.
Quali sono i principali problemi che affliggono le aziende?
Quelli che purtroppo ripeto da anni, dato che ormai ho capito che i politici sono perennemente in campagna elettorale, per cui siamo sempre in attesa di interventi concreti. Noi imprenditori chiediamo innanzitutto una politica industriale lineare di lungo periodo, che dia certezza per poter programmare gli investimenti, e interventi in ambito fiscale. Un dipendente costa molto ad un’azienda, anche se il suo stipendio netto è basso. Come diciamo da anni, se si riducesse questa forbice ne gioverebbero anche i consumi interni. Altra situazione che pesa, la difficoltà a trovare manodopera, dovuta fondamentalmente al calo demografico e all’invecchiamento della popolazione, oltre alla presenza di una fetta di giovani che è disoccupata ma non cerca lavoro.