Sarà un brindisi amaro per gli oltre 4 mila produttori di Moscato. Nelle tre province, Asti, Cuneo e Alessandria e nei 52 Comuni patria dell'aromatico più conosciuto al mondo la preoccupazione
Sarà un brindisi amaro per gli oltre 4 mila produttori di Moscato. Nelle tre province, Asti, Cuneo e Alessandria e nei 52 Comuni patria dell'aromatico più conosciuto al mondo la preoccupazione è palpabile. Il mito del vino "pigliatutto" (in termini di mercato) e dell'uva che resiste ad ogni intemperia (la crisi) scricchiola. Per chi vive di Moscato e con le vigne ci campa, il vento gelido del rallentamento dei consumi non è una novità dell'8 dicembre. Data in cui, a Santo Stefano Belbo, il problema-Moscato è esploso in un'affollata assemblea dei vignaioli. Per una volta, seppur con angolazioni diverse, il concetto è stato unanime: l'Asti si vende di meno. Aumenta, invece, il "tappo raso", ma non quel tanto che basta per rattoppare una falla la cui dimensione porta a 57 milioni (le stime) le bottiglie vendute.
Il Moscato versione nature, con le tre sottozone tra le quali spicca il "Canelli", vola a 30 milioni di pezzi. Un bel record, se si pensa che nel 2006 valeva appena 9 milioni, poi 20 già quattro anni dopo, quantità più che triplicata in dieci anni. Segna il passo invece il dolce spumante docg, mai sceso sotto i 60 milioni di etichette che, nel tempo, si era guadagnato l'appellativo di "spumante italiano più venduto nel mondo". Un 2015, dunque, di sudore e, per il primo anno dopo un quinquennio di esaltante galoppata, lacrime. I musi s'allungano ancor di più e il brusio aumenta quando vengono citati i mercati. Ristagna quello russo, in preda a difficoltà causa embargo, crisi dei consumi e di liquidità. Consumatori, quelli russi, che si erano dimostrati i più vivaci nell'ultimo lustro, ora in forte astinenza. Ma anche il Moscato deve fare i conti con un monopolio che parla a stelle&strisce: il 67% del prodotto prende la via degli Stati Uniti.
«E se ci mollano anche gli americani?» si chiede, con una sana dose di realismo, un vignaiolo doc. Già, che potrebbe succedere? Nessuno ci vuol pensare, anche se le prime ombre s'allungano minacciose sul 2016: si parla di rese ridotte a 80 quintali per ettaro, se non qualche chilo in meno. E prezzi in discesa. L'invenduto, il mosto stoccato nelle aziende e nelle cantine sociali, potrebbe toccare i 400 mila ettolitri. «Alla faccia di chi, parte industriale, chiedeva il deblocage di una quota di uve in vendemmia» ironizza qualcuno. «Negli anni il mondo dell'Asti è stato preda di troppi avventurieri» si sfoga il moscatista Romano Dogliotti, in modo anche più colorito di quanto sia possibile riportare a margine della presentazione del Moscato "Pianbè dei Surì", chez Mario e Pietro Cirio della Pianbello di Loazzolo. «Da quando ho iniziato a produrre Asti come si deve c'è stato un imbarbarimento. Oggi, nei supermercati, si trovano bottiglie di Asti a meno di 3 euro. Tutto questo è serio?» tuona.
Giovanni Bosco, stessa location, commenta che «nel mondo ci sono 1 miliardo 300 milioni di "Moscati". Perché un consumatore dovrebbe bere il nostro?». E punta sulla qualità, «unica strada che ci può salvare». Demonizzare il Prosecco, "nemico" del nostro spumante, non è serio. «Mercati diversi, non c'è storia» commentano. Ma, intanto, le bollicine venete fanno boom secondo le stime degli analisti per il brindisi di fine anno, mentre Asti (e Brachetto) segnano il passo. Come se non bastasse, a intorpidire le acque già agitate arriva il caso di Asti Consortium: seconda associazione di produttori o abile azione di marketing? L'imprenditore Andrea Faccio, chiamato in causa a Santo Stefano Belbo, vuole evitare speculazioni. Ma dall'Ucraina arrivano informazioni di "falsi" Asti. Un segnale che disorienta, anche e soprattutto i consumatori.
Giovanni Vassallo