La Saclà ha acquistato l'area industriale "ex Laria", tra Castello d'Annone e Cerro Tanaro, in vista di una eventuale "espansione" con la nascita di un altro stabilimento astigiano. Ad affermarlo Lorenzo Ercole, presidente e amministratore delegato dell'azienda fondata nel 1939, leader nella produzione di conserve vegetali in vaso, che conta circa 200 dipendenti e un fatturato da 130 milioni di euro…
La Saclà ha acquistato l'area industriale "ex Laria", tra Castello d'Annone e Cerro Tanaro, in vista di una eventuale "espansione" con la nascita di un altro stabilimento astigiano. Ad affermarlo Lorenzo Ercole, presidente e amministratore delegato dell'azienda fondata nel 1939, leader nella produzione di conserve vegetali in vaso, che conta circa 200 dipendenti e un fatturato da 130 milioni di euro.
Come mai questa scelta?
«Eravamo alla ricerca di una nuova area perché qui siamo allo stretto. Dopo varie ricerche siamo approdati ad un sito industriale dismesso, l'ex azienda Laria che produceva piastrelle. Il sito comprende un fabbricato e un'area esterna (per un totale di 100mila mq, più della sede di piazza Amendola, ndr). L'abbiamo acquistato e stiamo realizzando un progetto sull'area (un'ipotesi potrebbe essere quella di concentrarvi parte della produzione, anche se per ora non sappiamo assolutamente quale, e la logistica), fermo restando che la sede rimarrà ad Asti (uno dei principali stabilimenti produttivi insieme a quelli di Sarno e di Siviglia, in Spagna). Ma tra un progetto e la sua esecuzione la distanza è lunga. Bisogna vedere se matureranno i tempi che consentiranno questo passo. Oggi, infatti, la situazione generale è difficile e richiede prudenza, una dote, tipica dei Piemontesi, che non deve essere assoluta ma equilibrata tra la necessità di innovare e investire e quella di evitare il cosiddetto "passo più lungo della gamba". Comunque, riguardo alla ricerca dell'area posso dire che sia l'Amministrazione comunale di Asti sia quella di Castello d'Annone si sono dimostrate molto disponibili».
Lei ha accennato alla difficile congiuntura economica. Come vive questo clima che caratterizza l'Europa, e in particolare l'Italia?
«In tutti i settori, a parte alcune lavorazioni particolarmente innovative, si percepisce la crisi economica, che induce a riflettere sugli investimenti da realizzare, dato che determina effetti negativi – come il calo della domanda interna e la diminuzione verticale dei profitti – che si aggiungono ad un ostacolo tutto italiano: attualmente fare impresa nel nostro Paese è diventato difficilissimo, per quella serie di problemi, dal cuneo fiscale alla burocrazia eccessiva, ormai noti. E devo ammettere che la situazione negli anni è peggiorata da questo di vista. L'Italia possiede ancora una buona struttura industriale, ma non deve perderla. Un risultato che si raggiunge se si difende la produzione nel nostro Paese: non importa chi è il proprietario di un'azienda, l'essenziale è che la lavorazione sia entro i confini nazionali. Inoltre in Italia si deve imparare a lavorare insieme: l'individualismo che ha caratterizzato gli anni ?50 ora è la nostra "palla al piede"».
Anche voi avete risposto alla stagnazione del mercato interno aumentando la quota di export?
«Noi abbiamo cominciato molto prima, già negli anni Ottanta, intuendo l'importanza di diversificare e aggredire nuovi mercati quando nessuno ancora ci pensava, dato che la domanda interna era alta. Tanto che attualmente oltre il 50% del fatturato deriva dall'export. Abbiamo tre filiali commerciali in Inghilterra, Francia e Stati Uniti che gestiamo direttamente, mentre da tutte le altri parti abbiamo contratti di collaborazione con importatori».
Diversificazione come parola d'ordine, dunque. Anche nella produzione?
«Certamente. Tanto per fare qualche esempio, quattro anni fa abbiamo avviato il biologico e successivamente siamo entrati nella produzione del fresco a livelli minimali».
Elisa Ferrando