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Licenziata in maternità, protestano i sindacati
Economia

Licenziata in maternità, protestano i sindacati

C’erano i rappresentanti di diverse categorie sindacali al presidio unitario promosso venerdì scorso dai sindacati Cgil, Cisl e Uil davanti alla sede della Ucic, azienda di vernici che si trova in Strada Valmanera

C’erano i rappresentanti di diverse categorie sindacali al presidio unitario promosso venerdì scorso dai sindacati Cgil, Cisl e Uil davanti alla sede della Ucic, azienda di vernici che si trova in Strada Valmanera.

Convocato da Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil – così come lo sciopero dei dipendenti per l’intera giornata lavorativa di venerdì – era volto a manifestare contro il licenziamento dell’impiegata Eleonora Marchese, da tre anni militante sindacale della Cgil. La protesta ha visto la partecipazione di delegati astigiani e alessandrini, in virtù soprattutto del fatto che la collega è stata licenziata lo scorso giugno, quando aveva da poco cominciato il periodo di maternità.

«Lavoravo alla Ucic da dieci anni come impiegata amministrativa», ha spiegato la stessa Eleonora Marchese ai cronisti in occasione del presidio. «Nel 2013 – ha proseguito – ho ricevuto una lettera di richiamo, in sostanza per spionaggio industriale, in seguito alla quale mi sono rivolta ad un avvocato e l’azienda ha accettato le mie ragioni. Poi sono rimasta incinta, e comunque, non avendo avuto problemi di salute, ho scelto di lavorare fino all’ottavo mese. Ho partorito lo scorso aprile, e un mese dopo ho ricevuto una lettera di richiamo perché, quando lavoravo, avevo mandato una mail di lavoro al mio compagno. Mail che, aggiungo, non conteneva dati sensibili o di segretezza per l’azienda. Così sono andata a chiedere spiegazioni e a farmi le ragioni, ma non sono state accettate. E dopo una settimana sono stata licenziata perché ho leso il rapporto di fiducia con l’azienda. Successivamente ho impugnato il licenziamento e ora siamo per vie legali».

«Le motivazioni addotte dall’azienda – ha aggiunto Stefano Calella (Cisl Alessandria – Asti) – secondo noi sono deboli. La legge prevede infatti tre casi in cui una dipendente può essere licenziata in maternità. Tra questi, quello dovuto ad una grave colpa della lavoratrice che giustifica il licenziamento per giusta causa, per esempio se ruba in azienda, quindi diverso da quello che abbiamo di fronte ora (gli altri due sono i casi in cui, durante la maternità, l’azienda chiude i battenti o la lavoratrice ha il contratto a tempo determinato che scade, ndr)».

«E il fatto che non ci siano molti dipendenti a manifestare – ha aggiunto Calella – significa soltanto che hanno timore ad esporsi, trattandosi di un’azienda di piccole dimensioni».

«Il fatto è molto grave – ha commentato Filippo Rubulotta (Cgil) – e a memoria non ricordiamo, per fortuna, altri casi di questo tipo nell’Astigiano. Per fortuna lo abbiamo intercettato, dato che nell’azienda sono presenti delegati sindacali». D’accordo Roberto Marengo (Cisl) che ha inquadrato questa vicenda «in un contesto del mercato del lavoro in cui ormai le aziende, grazie anche alla Riforma Fornero e al Jobs Act, si stanno muovendo in modo pericoloso. Il fatto è che negli ultimi 20 anni le riforme adottate a livello nazionale hanno ridotto i diritti dei lavoratori, senza al contempo rafforzare gli ammortizzatori sociali e creare nuovi posti di lavoro».

La solidarietà è arrivata anche dalla Uil, nonostante non sia presente in azienda. «Vista la gravità del fatto – ha affermato Giacomo Robino, delegato sindacale RFT di Villanova – abbiamo deciso di partecipare, dato che con il Jobs Act il futuro è grigio per tutti».

L’azienda: «Provvedimento per giusta causa»

Interpellata sull’argomento, l’azienda rispedisce le accuse al mittente.

«Lo sciopero – commenta Massimiliano Gerardi, consulente del lavoro di Torino e responsabile della gestione del personale Ucic – ha portato come adesione aziendale 2 dipendenti su 31. E questo è un dato che la dice lunga sulle motivazioni in esso addotte. Le imprese italiane, come la stessa Ucic, si rapportano quotidianamente su mercati sempre più concorrenziali che prediligono quantità alla qualità, condotta questa che contrasta con il vanto qualitativo del nostro “made in Italy” che, mai come in questi anni, sta richiedendo sacrifici ad ogni imprenditore. Se alla luce di questi sacrifici ci si trovasse dinnanzi a dipendenti che durante l’orario di lavoro girano e-mail ad estranei, peraltro allegando dati sensibili e coperti da privacy, chiunque lo considererebbe come giusta causa vivendo tale comportamento come atto grave».

«Ma, avendo voluto il sindacato aprire un contenzioso, ci rimetteremo al parere del giudice del lavoro».

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